Nella settimana appena conclusa, il governo Conte ha vinto e perso nello stesso tempo.

La maggioranza è riuscita a superare il voto in parlamento per il sì alla riforma del Mes. Tuttavia, proprio quel voto ha mostrato la fragilità interna del Movimento cinque stelle: è riuscito a tenere quasi tutti gli eletti nei ranghi ma solo grazie ad un annacquamento della risoluzione, che ha consegnato a Conte un mandato vago. Contemporaneamente, il governo è stato impegnato in un drammatico consiglo dei ministri, in cui Italia viva ha minacciato la crisi quando si è palesata l’intenzione di Conte di affidare la gestione dei fondi per il Recovery fund a una task foce di super-esperti che di fatto commissariassero i minsteri. Renzi è stato il più diretto nell’intimare l’alt al presidente del consiglio, utilizzando proprio la discussione in Senato sul Mes, ma anche il Partito democratico ha inviato lo stesso segnale a palazzo Chigi, pur scegliendo toni più moderati. Il risultato è lo stallo: il governo non ha preso alcuna decisione definitiva sul Recovery plan e intanto incombe il Natale, con le relative pressioni a modificare il dpcm che impone il blocco degli spostamenti tra comuni. Lo stesso Conte – abilissimo a procrastinare – ha dovuto ammettere che servirà un confronto della sua maggioranza e sa bene di essere lui la pedina più a rischio.

Il Conte bis prosegue

Il primo scenario possibile è anche quello più gradito non solo a Conte ma anche ai Cinque stelle, che sono alle prese con la spaccatura interna al gruppo causata dalla fronda vicina ad Alessandro Di Battista e scontano la mancanza di una leadership forte. Il calo nei sondaggi, che ora collocano il Movimento al 15 per cento, rende poco auspicabile un ritorno al voto, in cui le truppe parlamentari verrebbero più che dimezzate. La prosecuzione del Conte bis, però, richiede almeno due condizioni: la prima è che il presidente del consiglio vada incontro al Pd e a Italia viva, che chiedono rispettivamente un cambio di passo nelle scelte e più collegialità nella gestione; la seconda che i grillini riacquistino solidità come gruppo per evitare l’imprevisto parlamentare che precipiterebbe nel caos il governo.

Il rimpasto

Il Conte bis potrebbe diventare un Conte ter, con un cambio nella squadra dei ministri per riequilibrare le forze. L’ipotesi del rimpasto si rincorre ormai da settimane: Italia viva ha detto di non volere nessun nuovo ministro, ma nei piani del premier proprio Matteo Renzi sarebbe in pole position per ottenere un dicastero in cambio della conferma del sostegno. Nel Pd, i papabili per la nomina sarebbero il segretario Nicola Zingaretti, che però lascerebbe scoperta la casella della regione Lazio, e il suo vice Andrea Orlando. In bilico, invece, sarebbero i ministri Lucia Azzolina, Paola de Micheli, Nunzia Catalfo ma anche Alfonso Bonafede. Conte, però, pretende che il cambio di squadra venga chiesto dalla sua maggioranza, in modo da dividere collegialmente la responsabilità, anche davanti al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Il governo tecnico

Questa è l’ipotesi preferita di Italia viva, tornata al centro della scena dopo che Renzi ha detto chiaramente in Senato che la fiducia a Conte ha una scadenza: il 28 dicembre, data del voto sulla legge di Bilancio. Poi liberi tutti, ma non di andare al voto. Sondaggi alla mano, le urne rischierebbero di ridurre all’irrilevanza proprio Iv, che infatti ribadisce che votare ora in piena crisi sarebbe impensabile, ma il parlamento sarebbe possibile costruire una maggioranza alternativa, che sostenga un governo tecnico. Al suo vertice, sarebbe pronto il nome dell’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi: il suo prestigio potrebbe convincere anche Mattarella, che fino ad oggi ha difeso Conte lasciando trapelare che non ci sia spazio per un terzo esecutivo nella legislatura. A dare insperata manforte a Renzi in questa manovra è addirittura Matteo Salvini. Il leader della Lega ha detto di essere pronto ad «accompagnare il Paese a nuove elezioni con un governo serio», ovvero un governo tecnico. Dietro la scelta di Salvini, che lo allontana da Giorgia Meloni e lo avvicina invece a Forza Italia, ci sarebbe la paura delle urne: il processo Gregoretti che incombe e le inchieste sui fondi della Lega, oltre a una visibilità mediatica appannata, lo hanno messo in allarme.

La crisi e il ritorno alle urne

Il voto è lo scenario meno probabile. L’unica a preferirlo è Meloni, forte della crescita esponenziale del suo partito. Nella maggioranza, solo il Pd continua a ripetere che il voto è l’unica alternativa all’attuale governo, con o senza rimpasto. Per i dem, andare a votare anche col rischio di tornare all’opposizione significherebbe ridurr e Renzi al lumicino e far uscire dal parlamento tutti gli eletti passati poi con Iv. Inoltre l’esito delle urne è imprevedibile. Al Nazareno si teme solo il logoramento: l’importante è che il Conte bis non «tiri a campare». Se Conte non è disposto a modificare il suo approccio o i grillini dessero segni di cedimento, allora meglio staccare la spina appena la situazione diventerà non più gestibile.

A determinare quale degli scenari sarà quello futuro, però, sarà la prossima mossa di Conte. Che deve pensare bene, ma soprattutto in fretta.

© Riproduzione riservata