Un cadavere di una bambina con un numero sul braccio. Questo ci tocca vedere nell’Europa del 2023. Un’immagine che evoca i peggiori incubi nelle coscienze di tutti noi.

Al contempo, una tragica conferma, come hanno ben scritto Vitalba Azzollini e Lisa Di Giuseppe, dell’assurdità delle politiche migratorie sostenute da Giorgia Meloni in questi anni e del cortocircuito, già più volte riscontrato, provocato dalla propaganda populista. Riavvolgiamo il nastro.

In principio fu Mare Nostrum, missione della marina Militare Italiana decisa dal governo Letta (era il 2013) in seguito alla morte di 368 persone a causa del naufragio di un’imbarcazione libica nel canale di Sicilia. Non andava bene.

La questione migranti divenne una delle colonne portanti della riconquista del consenso perduto della Lega a nuova guida Salvini. Mare nostrum, questo il mantra retorico poi ripetuto fino ai giorni nostri contro ogni evidenza empirica, finiva col «finanziare gli scafisti e l’invasione delle nostre coste». Andava, dunque, «sospesa immediatamente».

Si lavorò, allora, per un coinvolgimento europeo, che almeno contribuisse alle spese per governare quella che veniva sempre più percepita non come frontiera italiana, ma come frontiera sud dell’Europa tutta.

Anche la neo segretaria Schlein lavorò molto in Europa perché passasse questo principio, mentre il suo opposto politico Salvini disertava le commissioni per proseguire la sua campagna elettorale permanente fra tutte le sagre italiane.

La pressione degli stati del sud Europa ebbe un seguito e Mare nostrum fu sostituita, in sequenza, dalle operazioni Triton, Themis, Sophia, coordinate dall’Ue. L’ultima inaugurata nel 2015. Nulla, non andava bene nemmeno questa via.

In un misto fra retorica anti-Ue e anti migranti, scelti come capri espiatori dei mali strutturali di una politica ripiegata negli impotenti confini nazionali, le teorie del pull factor, per cui le operazioni salvataggio fungerebbero da stimolo alle partenze, cominciarono a mescolarsi con le follie sulla sostituzione etnica, cavalcate in toto dall’attuale premier Giorgia Meloni. Livelli da Q-Anon.

Si provò, allora, con la teoria della esternalizzazione delle frontiere, alla base anche della nostrana dottrina Minniti, e venne Irini, che, a dirla tutta, introiettava molti dei principi spinti nel dibattito pubblico dalla destra globale coordinata dai vari Steve Bannon sparsi nel pianeta.

Qui ci si è fermati, facendo qualche timido passo avanti nel processo di ridistribuzione europea dei migranti, senza però infrangere il totem del trattato di Dublino che prevede la permanenza dei migranti nel paese di sbarco.

Un cortocircuito provocato dall’impossibilità della destra estrema di acquisire consenso senza la tecnica del capro espiatorio, attraverso la definizione di obiettivi politici razionali e realistici.

Venire incontro alle esigenze

Se Meloni è davvero impegnata nel riesumare il progetto finiano di una destra liberal-conservatrice, cambi radicalmente alleanze europee e, soprattutto, parta dal presupposto realistico che l’Europa ha bisogno di immigrati e che ha la fortuna di avere sotto di se il continente che cresce demograficamente come nessuno al mondo.

Fra le tante crisi che ci attanagliano, quella che ha la strada più tracciata per la propria gestione è la crisi demografica. Negli ultimi cento anni, il mondo ha sperimentato una crescita di popolazione senza precedenti.

Per il livello di sviluppo che abbiamo oggi, faticheremo a soddisfare le esigenze di tutti, creando ulteriore instabilità. Al netto del diritto di ciascuno di fare anche dieci figli o zero, forse, in questa fase storica il generale cambio dei costumi dei paesi avanzati, può non essere un male, a patto che si riesca a ridistribuire la demografia.

E mica con deportazioni, ma attraverso politiche che soddisfino il desiderio di migrare di persone che soffrono nei paesi d’origine. Insomma, da una parte c’è chi vuole uscire, dall’altra chi ha esigenza di ricevere: se non ora, quando?

© Riproduzione riservata