Solo il vicepresidente Fabio Pinelli può salvare sé stesso, accettando di venire a patti con il proprio consiglio.

Dopo l’aumento della tensione al Consiglio superiore della magistratura di cui Domani ha dato conto, ieri è stato il giorno del faccia a faccia - o meglio schermo a schermo, visto che la riunione è avvenuta su Zoom - tra i consiglieri, per decidere il da farsi per il plenum del 26 aprile.

Il punto concreto della contesa è l’organizzazione dei lavori del consiglio, il problema vero però è il metodo di procedere, con decisioni unilateralmente imposte dal vicepresidente. Il risultato rischia di essere una sfiducia di fatto di Pinelli dopo meno di tre mesi di lavoro.

L’emendamento

All’incontro a distanza di ieri avrebbero partecipato praticamente tutti i consiglieri laici e togati, salvo qualche singola defezione e ovviamente fatta eccezione per il comitato di presidenza (composto da Pinelli e i due membri di diritto del Csm, il procuratore generale di Cassazione Luigi Salvato e la prima presidente Margherita Cassano).

Durante l’incontro, proseguito per alcune ore, si sarebbe chiuso un accordo su un emendamento da presentare al plenum sul testo di delibera redatto dal comitato di presidenza.

L’emendamento dovrebbe correggere il calendario dei prossimi lavori da maggio a dicembre, prevedendo che in alcune settimane sia previsto che «i lavori consiliari siano concentrati principalmente sull'attività delle Commissioni quarta, quinta, settima e ottava» ma si è discusso a lungo di quanti giorni prevedere: se limitarli a lunedì e martedì o arrivare fino al mercoledì così da rendere la proposto il più possibile accettabile per il vicepresidente, nell’ottica di evitare uno scontro che sarebbe complicato per tutti gestire.

Tuttavia, il dibattito e il contrasto con Pinelli nascono da quella che è stata definita da fonti interne al Csm la «spinta aziendalista» che il vicepresidente ha imposto, con lavori a tappe forzate e sedute tutte le settimane sia delle commissioni che del plenum che della sezione disciplinare. Con l’effetto non certo ottimale di una contrazione delle pratiche definite dal plenum, perché - come dovrebbe essere scritto nell’emendamento - si è prodotta una «difficoltà da parte dei magistrati segretari e dei funzionari amministrativi - in assenza dei tempi prima assicurati dalla settimana priva di sedute di Commissioni e Plenum - di tradurre le deliberazioni delle Commissioni in proposte di delibere consiliari adeguatamente istruite e motivate».

Il possibile esito

L’esito del 26 aprile può essere duplice. Pinelli e il comitato di presidenza potrebbero accettare il nuovo testo della delibera con gli emendamenti proposti e appunto una riduzione dei giorni di seduta, per concedere maggior tempo di elaborazione e corretta stesura delle delibere. Così una rottura sarebbe evitata, benché il contrasto sia stato fortissimo e comunque Pinelli e il suo comitato di presidenza incassino un ridimensionamento di fatto. In caso contrario Pinelli potrebbe decidere di andare allo scontro.

Tra i pontieri, c’è chi auspica uno scatto di buon senso da parte del vicepresidente, perché capisca che una concessione sul calendario risponde «alla reale esigenza di far respirare la struttura amministrativa» e che «non vale la pena di ingaggiare su questo sfide muscolari». La speranza, però, non è altissima e la via più probabile sembra essere quella del muro contro muro. Con due gradazioni di intensità.

Minoranza o sfiducia

La più probabile è quella di un livello intermedio, con messa ai voti dell’emendamento e la vicepresidenza messa in minoranza, come già successo con la costituzione di parte civile del Csm nel processo Palamara. Pinelli e il comitato di presidenza avevano proposto il no, mentre l’emendamento favorevole è passato 23 a 5.

Quella che si vorrebbe scongiurare, invece, è la strada che rischia di portare a un voto di sfiducia formale del vicepresidente. L’ipotesi, però, non sarebbe scartata a priori e potrebbe attivarsi nel caso in cui Pinelli decidesse di utilizzare le sue prerogative di vicepresidente, non accettando nemmeno l’emendamento e quindi non mettendolo ai voti. In questo caso, con il rischio di rigettare nel caos il Csm, che faticosamente sta uscendo dal terremoto della passata consiliatura.

 

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