Non ci sono solo le fondazioni lirico-sinfoniche nella guerra tra il ministero della Cultura e gli enti locali. Il fronte si è spostato in Toscana su altri teatri.

A cominciare dalla Pergola di Firenze, il Teatro della Toscana, ormai a un passo dal declassamento da nazionale a regionale dopo mesi di tentativi di mediazioni, finiti con annunci di ricorsi. E le dimissioni appena rassegnate da 3 commissari su 7 dell’organismo chiamato a pronunciarsi sul caso.

Il pericolo è ora quello di una coda in tribunale e il conseguente possibile blocco degli stanziamenti per il teatro di prosa italiano. Una catena di disastri.

La perdita dello status di struttura nazionale per la Pergola non rappresenta solo un immenso danno di immagine, significa il venir meno di circa 2 milioni di euro di finanziamenti.

La sindaca di Firenze, Sara Funaro, ha già annunciato l’intenzione di dare battaglia: «Se venisse confermata l’intenzione di andare avanti in questa direzione siamo pronti ad agire in tutte le sedi opportune a tutela della nostra città e del prestigio e della storia del nostro teatro».

Il casus belli

A innescare la rottura è stato il nome di Stefano Massini, drammaturgo e volto televisivo, fortemente voluto come direttore artistico proprio da Funaro. È stato chiamato a gennaio, ma è rimasto indigesto al ministero della Cultura guidato da Alessandro Giuli. Da qui la richiesta di una nuova nomina.

Il grande regista degli incarichi nel mondo teatrale è, come raccontato da Domani, il sottosegretario Gianmarco Mazzi, che ha posto il proprio veto sul nome di Massini, intellettuale che rappresenta la sinistra più invisa al governo. Sul punto c’è stata piena convergenza con Giuli.

Allo stesso tempo al Collegio romano, sede del Mic, non è stato gradito l’addio di Marco Giorgetti, da anni direttore generale, vicino al centrodestra, benedetto da Gianni Letta. E difeso dall’asse Giuli-Mazzi. Un mix di eventi che ha avvelenato il clima.

Ci sono stati confronti infuocati tra la prima cittadina e il sottosegretario: non è stato trovato un punto di incontro. Funaro ha rivendicato l’autonomia degli enti locali, Mazzi la necessità di individuare un compromesso. Il risultato è che Alberto Cassani, Carmelo Grassi e Angelo Pastore, componenti della commissione che definisce i finanziamenti per i teatri prosa, hanno presentato ieri le dimissioni.

I tre rappresentanti degli enti locali (Anci, Upi e regioni) hanno preferito non prendere parte al voto sul declassamento della Pergola, inviando una lettera al ministro Giuli.

Nel dettaglio contestano «l’impossibilità di costruire un percorso condiviso ed equilibrato nella valutazione dei vari organismi teatrali richiedenti», definendo allo stesso tempo «pretestuose» le motivazioni addotte per il downgrade del teatro.

Gli ormai ex commissari hanno lasciato la questione nelle mani degli altri 4 componenti, compreso il presidente, tutti indicati dal Mic (dall’ex ministro Gennaro Sangiuliano).

La ragione ufficiale della richiesta di retrocessione della Pergola sarebbe la programmazione non ben definita per il triennio. Sulla questione c’è stata un confronto lungo e serrato.

Anche perché, al netto delle versioni ufficiali, i retroscena hanno raccontato dei dissidi per la nomina di Massini e l’addio di Giorgetti. Per questo sembrava ci fosse stato l’accordo per una soluzione di compromesso: un abbassamento del punteggio per il teatro, ma senza arrivare al declassamento.

Ma l’irrigidimento ha portato alla rottura. «È uno schiaffo a Firenze e alla cultura. Il ministro dell’ignoranza Giuli si dovrebbe vergognare», ha attaccato il leader di Italia viva, Matteo Renzi.

Insomma, la vicenda ha travalicato i confini regionali. Le opposizioni hanno protestato in coro. Per la vicepresidente dei deputati del Pd, Simona Bonafè, la decisione ha rappresentato «un’offesa non solo nei confronti di una istituzione prestigiosa ma a tutta la comunità culturale regionale e non solo».

Massini, uno dei protagonisti suo malgrado, ha commentato la situazione sui canali social: «Evidentemente ogni oggettività è tramontata, il personalismo trionfa, e con essi il buon senso del capire la farsa di questa sparatoria da saloon ingaggiata da mesi contro di me, contro il nostro teatro e contro la gente».

L’affaire Boccia e il Verdi di Pisa

Il controllo capillare della destra sui teatri interessa comunque un’altra città della Toscana. In un mix tra vecchie vicende e nuovi incarichi.

Al teatro Verdi di Pisa è sbarcato nel ruolo di direttore generale Alessandro Ferrari, golden boy della politica italiana, esponente dei giovani di Forza Italia, con un passaggio negli uffici legislativi della Camera.

Il suo nome è ricordato perché è stato uno dei protagonisti, suo malgrado, dell’affaire-Boccia che ha portato alle dimissioni di Sangiuliano. Ferrari, all’epoca collaboratore con l’ufficio di gabinetto del Mic, ha infatti inviato la nota mail all’influencer di Pompei in cui veniva annunciato il sostanziale via libera all’assegnazione della collaborazione gratuita chiesta da Maria Rosaria Boccia.

La mail è finita nelle storie pubblicate su Instagram. L’esperienza di Ferrari al collegio romano è terminata di lì a qualche mese. Ora la promozione con qualche dubbio per la poca esperienza nel settore. Con una sorta di passato che non passa per il ministero della Cultura.

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