Iniziano ad affiorare i primi dettagli sulla vicenda del cosiddetto «complotto» che manager e consulenti Eni avrebbero ordito nei confronti della procura di Milano quando quest'ultima stava indagando per corruzione internazionale prima in Algeria e poi, soprattutto, in Nigeria.

Complotto che si poggerebbe su un'intensa attività di depistaggio nata alla procura di Trani, passata per quella di Siracusa e poi conclusa a Milano. Ufficio dove il procuratore aggiunto meneghino Laura Pedio, che da anni indaga su questo tema, ha chiuso proprio lo scorso 25 giugno un primo troncone di questa inchiesta che vede indagate sei persone con varie accuse che vanno dalla calunnia all'induzione a non rendere dichiarazioni all'autorità giudiziaria e intralcio alla giustizia.

Alcune di queste persone sono ormai note all'opinione pubblica: è il caso innanzitutto di Piero Amara, avvocato siciliano in passato legale di Eni e Ilva, finito in carcere poche settimane fa su ordine della procura di Potenza con l'accusa di corruzione in atti giudiziari.

Un altro nome noto è Vincenzo Armanna, ex manager Eni poi allontanato dalla società nel 2013, salito alla ribalta durante il processo Eni – Shell Nigeria per essere il grande accusatore dei vertici della società nella presunta maxi tangente (1,09 miliardi di dollari) pagata per ottenere i diritti di sfruttamento del campo petrolifero nigeriano offshore Opl 254.

Tutti gli imputati di quel processo, tra cui lo stesso Armanna,l'attuale ad del gruppo Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni, sono stati assolti lo scorso 17 marzo dalle accuse «perche il fatto non sussiste».

Il terzo nome, in ordine di importanza, è Massimo Mantovani, responsabile dell'ufficio legale dell'Eni in quegli anni, allontanato anch'esso dalla società nel 2019. A seguire Alessandro Ferraro, stretto collaboratore di Amara, Massimo Gaboardi e Giuseppe Lipera.

L’accusa di depistaggio

I sei, per il pm Pedio, avrebbero complottato tra loro con il fine di costringere il magistrato Fabio De Pasquale ad astenersi dall'indagare anche su un'intensa attività di depistaggio, condotta ai danni dei componenti del cda Eni Luigi Zingales e Karina Litvack, quando gli atti arrivarono a Milano trasferiti dalla procura di Siracusa.

Attività tesa a far passare Descalzi come vittima di un complotto ai suoi danni, operato da chi avrebbe poi voluto mettere al suo posto il manager Umberto Vergine. Il capro espiatorio di questo piano calunnioso sarebbe stato l'avvocato Luca Santa Maria, in passato legale di fiducia di Armanna.

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Il doppio ruolo di Armanna

Al centro di questo troncone d'inchiesta c'è infatti una mail, inviata da Armanna al secondo suo difensore del tempo, l'avvocato Fabrizio Siggia, nel quale l'ex manager Eni «censura» proprio il comportamento del suo difensore.

Scriveva Armanna nel febbraio del 2017: «La rapidità con cui i rapporti si sono deteriorati tra me e Luca (Santa Maria, ndr) mi ha sorpreso da un lato ma dall’altro ha contribuito ad accrescere la mia perplessità sul suo operato. Ha rinunciato all’incarico per la mia insistenza a fare l’istanza di accesso agli atti di Siracusa e per la mia richiesta di fare la riunione a Roma! In questi due anni, gradualmente, è cresciuto, sempre più, in me il dubbio che, ogni volta che Luca si è fatto portatore delle “istanze” dei pm non pensasse alla mia difesa ma ai suoi interessi. Luca ha provato ripetutamente e in tanti modi ad indurmi ad affermare che ero a conoscenza che l’Eni era consapevole che i beneficiari finali di parte della somma pagata fossero politici. Ha provato fino a prima della chiusura delle indagini dicendomi che da questo dipendeva la decisione dei pm di archiviarmi o di avere un trattamento di favore. Sinceramente, nonostante l’amarezza che provo nei confronti di Descalzi e dell’Eni per il male fattomi non sarei proprio mai riuscito ad accusarli falsamente».

E poi Armanna continua con: «(Santa Maria, ndr) Ha cercato di usarmi. Quando ho riletto i verbali ed ho preso coscienza di come le mie parole potessero essere interpretate nella direzione di una conferma di pagamenti a politici ho predisposto una memoria e anche in quel caso Luca dopo averne parlato con i pm ha insistito per evitarne il deposito ma non ho desistito ed infine, la memoria, è stata depositata. Un indizio che conferma quanto dico è nel tempo intercorso tra quando ho evidenziato la necessità di chiarire quanto verbalizzato a quando è stata depositata la memoria quasi un mese!... Luca ha cominciato a parlare di patteggiamento e di come questa potesse essere la via per evitare il sequestro del mio conto corrente ma ho sempre sottolineato come ritenessi assolutamente inaccettabile confessare qualcosa che non avevo fatto indipendentemente che dal fatto che questo mi avrebbe permesso di "vendicarmi" di Scaroni, Descalzi ed Eni».

Quella mail del 2017 si chiudeva con una riflessione sull'inchiesta della procura di Siracusa nata da alcuni esposti anonimi fatti inizialmente ai magistrati di Trani nel 2015 su presunte manovre oscure di alcuni consiglieri d'amministrazione Eni – Luigi Zingales e Karina Litvack – per azzoppare Descalzi: «Luca (Santa Maria, ndr) si oppone a fare istanza per (ottenere, ndr) il fascicolo di Siracusa perché li ha capito che c'è la storia dei rapporti tra lui, Zingales, Litvack, lo studio Cova e Cusimano e del loro progetto di prendere in mano .l'Eni Quando fui convocato da Siracusa il suo unico problema era che io non parlassi di questo. Io vorrei denunciare questi fatti. Dimmi tu se, come e dove farlo. Sono disgustato visto anche quello che ne è seguito». Anche lo stesso Armanna, però, fu accusato a Trani.

Com'è noto, durante il processo Eni Nigeria Armanna ha effettivamente lanciato delle accuse a parte dei vertici di Eni quando ha accettato di farsi interrogare in aula, per ben tre udienze. E nessuno dei difensori dei coimputati e della società, e tra questi anche l'avvocato Nerio Diodà, si avventurò in un controinterrogatorio dell'ex manager accusatore, preferendo non tentare di smontare le sue accuse.

Entra in scena Amara

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A metà 2020, durante il processo, i pm De Pasquale e Sergio Spadaro provarono anche a portare in aula proprio l'avvocato Amara per interrogarlo, ma il collegio presieduto da Marco Tremolada negò la possibilità.

Amara, interrogato tra fine e 2019 e inizio 2020 da Pedio nell'ambito del complotto, aveva ventilato che alcuni avvocati Eni (Diodà tra questi) avessero accesso proprio al giudice del processo. Da queste parole era nato anche un procedimento alla procura di Brescia, competente a indagare sui magistrati romani, che si è chiuso con un'archiviazione.

Tornando all'email, secondo la ricostruzione della procura, questa prima fu prima inoltrata «apparentemente per errore» da Armanna a Giuseppe Lipera e poi questa arrivò sul tavolo del procuratore della Repubblica Francesco Greco il 6 marzo del 2017 inclusa in una nota firmata dagli avvocati Carlo Federico Grosso e Nerio Diodà, che sono stati entrambi difensori dell'Eni come ente giuridico (per la legge 231 del 2001) nel processo Eni Nigeria. Fu proprio l'avvocato Grosso ad attivarsi «di concerto» con Mantovani, il quale si era «accordato» precedentemente con Amara.

Qualche giorno dopo – e siamo al 10 marzo 2017 – l'uomo d'affari Massimo Gaboardi, citato da Armanna in un altra mail collegata a quella oggetto di questo fascicolo, depositava sempre presso la procura di Milano un'istanza di astensione di Fabio De Pasquale dall'indagare anche sulle oscure trame tranesi e siracusane per i suoi rapporti obliqui con il difensore di un indagato, di cui avrebbe voluto indirizzare in qualche modo le confessioni sulle tangenti nigeriane. Questo atto perfezionò, per l'accusa, tutto il piano calunnioso dei sei indagati.

Le accuse di l'induzione a non rendere dichiarazioni all'autorità giudiziaria e intralcio alla giustizia riguardano, a vario titolo, solo Amara e il suo stretto collaboratore Ferraro, che avrebbero indotto Gaboardi a rendere dichiarazioni false a Siracusa, per le quali poi lo stesso Gaboardi è stato arrestato, o a mantenere il silenzio davanti alla stessa Pedio, una volta che il procedimento fosse stato trasferito per competenza a Milano.

Gaboardi, per l'accusa, sarebbe stato retribuito con 95 mila euro con varie modalità, anche attraverso la costituzione di una società in Romania – la Star Server srl – operante nel settore dell'oil & gas che avrebbe poi avuto commesse dall'Eni.


Precisazione dell’Eni:

Caro direttore, in merito all’articolo “Da Armanna ad Amara: cosa hanno scoperto i pm sul depistaggio del processo Eni” a firma di Alfredo Faieta, ci preme precisare quanto segue.
Eni ribadisce di essere parte lesa nell’ambito del cosiddetto depistaggio. Le persone oggetto delle indagini appena chiuse dalla Procura di Milano vengono tendenziosamente tuttora definite nell’articolo come “manager e consulenti Eni” quando invece non hanno più alcun tipo di rapporto con  la società .
A questo proposito, infatti, Eni ricorda ancora una volta che:
- Vincenzo Armanna (licenziato nel 2013) e Piero Amara (legale esterno alla società, difensore principalmente di dipendenti Eni e retribuito dall’azienda in base a quanto previsto dal contratto collettivo nazionale del lavoro) sono stati da anni denunciati dalla società e da suoi manager per le dichiarazioni calunniose rese in più ambiti di indagine;
- l’avvocato Mantovani è stato da tempo allontanato dalla società.
Eni confida che l’attività della magistratura possa fare finalmente chiarezza sulle vicende relative al depistaggio, che vedono la società e i suoi vertici obiettivi di gravi azioni lesive messe in campo da soggetti specifici per interessi volti al puro lucro personale.

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