La firma del nuovo Dpcm arriva in mattinata. La frenata notturna è stata necessaria per trattare con le categorie colpite e sul piede di guerra: i risarcimenti arriveranno presto. La promessa è che il decreto con i ristori sarà in Gazzetta ufficiale martedì e l’Agenzia delle entrate erogherà i soldi «già in novembre», «direttamente sui conti corrente».

È il Conte meno bandanzoso della sua storia quello che dal cortile di palazzo Chigi illustra il decreto Covid numero tre della seconda ondata. Siamo a 21.273 contagi, 128 morti e 1.208 persone in terapia intensiva, 80 in più di sabato. Il premier spiega di essersi convinto al nuovo provvedimento venerdì scorso, a pochi giorni dal Dpcm precedente, quando Silvio Brusaferro, capo dell’Istituto superiore della sanità, gli ha mostrato la velocità con cui procede il contagio. A quella riunione c’era il ministro della Salute Roberto Speranza, fautore della prudenza massima.

Il suo consigliere, il professore di Igiene Walter Ricciardi, in queste ore è un fiume in piena: «Due settimane fa avevo detto che con delle contromisure avremmo potuto arginare un’epidemia che ci avrebbe portato a 16mila casi al giorno entro Natale», domenica ha spiegato ad Avvenire, «In realtà i 16mila casi li abbiamo avuti giovedì. Si tratta di un ritmo di crescita insostenibile. A questo punto non bastano più le misure di contenimento. Servono lockdown mirati ad alcune province o anche regioni. Se non facciamo tempestivamente chiusure mirate, presto saremo costretti a ricorrere a chiusure generalizzate».

Parole proibite

Ma il mantra di Conte è «il paese non può permettersi un nuovo lockdown». E allora si concede una stretta («Non abbiamo introdotto il coprifuoco, parola che non amiamo») che si abbatte su alcune categorie. Il criterio non è esplicito, non viene spiegato se ci si contagia più al bar che in azienda.

Rispetto alle bozze circolate la notte di sabato, da lunedì fino al 24 novembre bar e ristoranti restano aperti fino alle 18 anche nei giorni festivi, oltreché nei feriali. Chiudono cinema e teatri, nonostante lo sforzo e gli investimenti del settore per tenere aperto durante la pandemia (fanno appello gli assessori alla cultura di 12 grandi città italiane); ma il ministro della cultura Dario Franceschini porta a casa i musei aperti. Chiudono le palestre, le piscine e lo sport dilettantistico, contro la scelta si sono battuti il ministro Vincenzo Spadafora e Italia viva. Il partito di Renzi promuove una petizione per la riapertura. Dal Pd arriva la rampogna: «Meno petizioni, più impegno».

Nella notte lo scontro fra il governo, da una parte, e il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini e il sindaco Antonio Decaro, presidente dell’associazione comuni, sulle chiusure è ruvido. «Peggio di quelli di destra», dice chi vi ha assistito. Ma si capisce: chi sta sul territorio sa che molti di quelli a cui viene imposto un orario ridotto non potranno tenere aperti i propri esercizi. E altri non potranno riaprire.

Conte elenca i risarcimenti: «Ci sarà un credito di imposta per l’affitto commerciale per ottobre e novembre, verrà cancellata la seconda rata Imu, confermata la cassa integrazione e una nuova indennità mensile per gli stagionali di turismo, spettacolo, lavori intermittenti dello sport. Offriremo un’ulteriore mensilità del reddito di emergenza».

E poi c’è la scuola. Le superiori passano alla didattica a distanza almeno al 75 per cento. Il malumore dei presidi è forte, anche perché la ministra giura – sulla base di numeri incerti, come Domani ha svelato - che nelle scuole il tasso del contagio è più basso che fuori. «Invito a insistere piuttosto su trasporti e Asl che non riescono a tracciare bene i positivi», è l’altolà di Antonello Giannelli dell’associazione dei presidi.

Infine ci sono le raccomandazioni, che nel nuovo testo diventano «forti», persino e inutilmente: a non spostarsi senza valido motivo. Ma sono raccomandazioni, il governo non ha più la forza di andare oltre.

«Nel paese c'è molta stanchezza», ammette Conte, «La pandemia provoca rabbia e frustrazione. Mi rendo conto dei sacrifici che chiediamo a tante categorie». Il virus morde anche i palazzi, mentre lui parla – stavolta non si fa aspettare, compare alle 13 e 30 in punto per entrare nelle case nell’orario di punta della domenica – il sito Tpi rivela che il suo portavoce Rocco Casalino è contagiato e in isolamento. L’ultima volta ha visto Conte martedì, a distanza di sicurezza.

Orizzonte un mese

Il premier non riesce a guardare oltre il traguardo di fine novembre. Le nuove misure serviranno ad arrivare a Natale «con predisposizione d’animo sereno», «Sono sufficienti? Spero di sì».

Poi attenua il già impalpabile concetto di serenità: a Natale comunque non potremmo abbracciarci, «promettere di fermare il virus sarebbe velleitario».

E invece non è velleitario promettere per dicembre le prime dosi di vaccino – lo aveva anticipato nell’ultimo libro di Bruno Vespa – che «saranno somministrate alle categorie più fragili ed esposte». Una scommessa a breve termine e alto rischio.«Rincorriamo il virus? No, ma lui corre molto e noi dobbiamo tenerci pronti a intervenire», dice.

Accetta in via teorica la possibilità di aver sbagliato qualcosa «ma non si può imputare al governo di essersi distratto. Questa estate infatti siamo andati in parlamento per prorogare lo stato di emergenza». Dunque un’ammissione c’è: stava per ripartire il contagio, il governo lo sapeva.

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