Più della metà dei genitori italiani vuole le scuole aperte in estate. Mentre si discute sulla riapertura fino alle prima media in zona rossa in attesa del prossimo Dpcm, i genitori ribadiscono che la didattica a distanza per loro non è positiva, e anzi bisognerebbe organizzare varie forme di recupero, dall’attività motoria alle lingue. Si legge nel sondaggio “La scuola a distanza: la Dad un anno dopo secondo gli italiani” condotto dall’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, per l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile del ministero dello Sviluppo economico. Demopolis ha studiato l’evoluzione percepita, il presente e le prospettive della didattica a distanza nella valutazione dell’opinione pubblica, con focus sui genitori di figli minori (5-17 anni), insegnanti e operatori del terzo settore.

La solitudine

Per gli oltre duemila intervistati, a un anno dall’esordio della didattica a distanza, il giudizio è chiaro: solo 3 su 10 la valutano positivamente. Fra i genitori di figli in età scolare, il dato cresce al 36 per cento. Anche per gli insegnanti non è un buon sistema anche se il giudizio è più generoso: il 48 per cento la valuta positivamente e un dieci per cento non sa. Il restante 42 per cento però ne ha un giudizio negativo.

L’organizzazione segnala che rispetto all’anno scorso va meglio, ma non abbastanza. Pur essendo riconosciuta una resa più positiva rispetto alla fase emergenziale (67 per cento del campione, dato che raggiunge 79 per cento tra gli insegnanti), un problema – sociale ancora prima che scolastico, rileva l’associazione Con i bambini – grava più di altri sul bilancio della didattica a distanza: per il 51 per cento dei genitori italiani in Dad non è ancora garantito un accesso adeguato a tutti gli studenti. Gli insegnanti sono spaccati sul tema: 50 e 50.

Nella valutazione di chi ha figli in età scolare, le criticità della Dad, dopo un anno di operatività, restano la distrazione degli studenti durante le lezioni (73 per cento), ma anche la complessa situazione emotiva dei ragazzi (63 per cento). Nei giorni scorsi ha fatto il giro del web il post di Iole Struzziero, l’avvocata che si è trovata il biglietto della figlia quattordicenne: «Sono uscita per rilassarmi, non ce la faccio più».

Ma soprattutto, è l’assenza di vita relazionale a pesare sul giudizio complessivo: è il problema più rilevante per l’83 per cento dei genitori intervistati.

Marco Rossi-Doria, vicepresidente di Con i Bambini ha commentato: «Come emerge chiaramente dall’indagine, oltre ai deficit di accesso e inclusività, una preoccupazione diffusa riguarda il contesto emotivo e relazionale di bambini e ragazzi. Dobbiamo recuperare la dimensione affettiva e di socialità perché l’esperienza vissuta con grande responsabilità da bambini e ragazzi è pari solo a quella dei loro bisnonni».

L’apprezzamento per la maggiore autonomia nell’uso delle tecnologie da parte dei ragazzi (57 per cento) non basta a compensare. Soprattutto, se, come rilevano i genitori, c’è un problema di scarsa dotazione tecnologica delle case (51 per cento). Limite segnalato con evidenza ancora maggiore dagli insegnanti (68 per cento). Alla domanda sui dispositivi utilizzati dai figli durante le lezioni, il 16 per cento dei genitori risponde uno smartphone, e quasi un genitore su dieci non sa che cosa usino.

A questo si aggiunge l’altra faccia della medaglia, il 48 per cento dei genitori (quasi la metà) accusa gli insegnanti di avere scarse competenze tecniche.

Genitori vs insegnanti

Sull’impegno di scuola e famiglie, genitori e insegnanti hanno due punti di vista diversi. Si differenziano per prima cosa nella valutazione dei carichi di lavoro: secondo il 39 per cento dei genitori l’impegno richiesto alle famiglie è stato eccessivo; il dato cresce al 61 per cento tra chi ha i figli alle elementari, bambini che hanno più necessità di essere accompagnati. Solo un insegnante su quattro invece ritiene in linea generale che il carico di lavoro per i genitori sia stato esagerato.

Sull’orario delle lezioni la spaccatura è ancora più evidente: per un genitore su tre l’orario scolastico è troppo ridotto, ma sul tema concorda appena il 15 per cento degli insegnanti.

La proposta di tenere le scuole aperte lanciata dal presidente del consiglio Mario Draghi durante le consultazioni, ha trovato in totale il 70 per cento del campione d’accordo. Nel dettaglio, il 60 per cento nella fascia dei genitori, che dicono perciò un netto sì. Una soluzione che invece piace a meno della metà degli insegnanti – 45 per cento. Il compito di seguire gli studenti in estate invece piace al terzo settore (operatori specializzati, associazioni, ed educatori), in vista di attività integrative che li riguarderebbero: l’81 per cento si dichiara a favore e il 72 per cento è pronto a partecipare. Il sondaggio specifica infatti che si tratterebbe sia di recupero scolastico che di altre attività, dalle escursioni al teatro.

«L’indagine – ha spiegato il direttore dell’Istituto Demopolis Pietro Vento - conferma il costo sociale ed evolutivo imposto dall’emergenza e dalla chiusura prolungata delle scuole su bambini e ragazzi, con effetti consistenti sull’incremento delle disuguaglianze e della povertà educativa tra i minori nel nostro paese».

In attesa di capire in maniera definitiva come si muoverà il nuovo ministro Patrizio Bianchi – da segnalare che il decreto sostegni ha previsto un incremento di 150 milioni di euro per il Fondo per l’arricchimento e ampliamento dell’offerta formativa - la pandemia ha già ribaltato il modo di vedere l’educazione. Mentre nel 2019 meno della metà del campione (46 per cento) riteneva che la crescita dei minori fosse un compito affidato alla collettività, oggi per il 71 per cento degli intervistati è una responsabilità di tutta la comunità.

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