Il fabbisogno di medici – dalla carenza di specialisti ai test di ingresso alla facoltà di Medicina e chirurgia – è uno degli argomenti della campagna elettorale in corso. Si tratta di un tema complesso, oggetto di interventi regolatori negli ultimi anni, dei quali serve dare conto per comprenderne gli effetti futuri, e così valutare con maggiore fondatezza le proposte dei partiti.

L’imbuto formativo

L’accesso alle scuole di specializzazione mediche – oggetto di “riordino” nel 2015 – è a numero programmato. Per essere ammessi occorre aver conseguito un titolo di laurea in Medicina e chirurgia, ottenere l’abilitazione all’esercizio della professione medico-chirurgica entro la data di inizio delle attività didattiche e superare un concorso nazionale di ammissione, bandito annualmente dal ministero dell’Università. Le scuole di specializzazione sono divise in 3 aree – “medica”, “chirurgica” e “dei servizi clinici” – oltre al corso di formazione in medicina generale.

Negli ultimi anni c’è una grave carenza di specialisti, specie in alcune branche. I neo specialisti non sono bastati a sostituire i medici che andavano in pensione, aumentati anche a causa di provvedimenti come “Quota 100”.

Ciò è stato determinato – tra l’altro – dall’errata programmazione delle borse di specialità negli anni passati: è dal numero di posti nei corsi di specializzazione messi a disposizione ogni anno che dipende il numero degli specialisti del futuro. E molti neolaureati in Medicina, non potendo accedere alla specializzazione – passaggio necessario per lavorare nel Servizio sanitario nazionale (Ssn) – sono rimasti in un guado. Si tratta dei “camici grigi”, intrappolati nel cosiddetto “imbuto formativo”: medici laureati, non iscritti a specializzazioni per mancanza di posti nelle relative scuole.

Dal 2011 l’Anaao-Assomed, associazione rappresentativa dei dirigenti medici, ha lanciato l’allarme sulla mancanza di specialisti (tra pensionamenti e licenziamenti, 40mila medici in meno nel Ssn entro il 2024). Solo negli ultimi anni i governi hanno aumentato il numero dei posti di specializzazione, passando dai 5.000 nell’anno accademico 2014/2015, ai 13.400 nel 2019/2020, per arrivare ai 17.400 nel 2020/2021.

Con la manovra di bilancio del 2021 sono state rese permanenti 12.000 borse annuali di specializzazione, e per il 2021-2022 sono 13.000 le borse finanziate con fondi statali. Questi interventi consentiranno, quando gli studenti arriveranno alla fine del percorso, di ovviare alle carenze di specialisti. E anche prima, poiché già dal terzo anno di formazione gli specializzandi possono essere assunti negli ospedali, come disposto dalla legge di conversione del “decreto Calabria”, che ha ampliato quanto già previsto dalla legge Finanziaria per il 2019.

L’imbuto lavorativo

L’aumento delle borse di specializzazione servirà a colmare progressivamente le carenze accumulate, come detto. Tuttavia, siccome anche tale aumento è stato stabilito in maniera approssimativa – cioè senza un’effettiva pianificazione – si potrà creare un problema ulteriore: l’imbuto lavorativo.

In altre parole, dopo la mancanza di specialisti, ora il rischio è di averne una pletora, non assorbibili dal Ssn, e sempre a causa di errata programmazione. Come fa presente l’Anaao-Assomed, dei 14.000 iscritti per l’anno accademico 2021-2022 al corso di Medicina e chirurgia arriveranno alla laurea quasi in 13.000, considerato che il tasso di abbandono è di circa il 10 per cento.

Duemila seguiranno il corso di formazione per la Medicina generale e 11.000 altri corsi specialistici. Ma il fabbisogno per garantire il turnover nel Ssn, sempre secondo il sindacato dei medici, ammonterà a 3.000 per anno dopo il 2030 e a 2.000 nel 2034. L’Anaao-Assomed considera che il 30/40 per cento di quelli che annualmente acquisiscono il titolo sceglieranno «un rapporto di lavoro diverso da quello di dipendente all’interno del Ssn, preferendo altri settori», dalla carriera universitaria all’impiego nelle industrie del settore. Quindi, per 5.000 specializzati «sarà problematico trovare sbocchi lavorativi in Italia. In 5 anni saranno 25.000. Dall’“imbuto formativo” passeremo a un “imbuto lavorativo”».

In altri termini, molti di coloro i quali si stanno iscrivendo ora a Medicina e, dopo un lungo percorso di studio e di specializzazione, saranno pronti per entrare nel mondo del lavoro nel 2033/2034, di fatto non ci entreranno, salvo andare all’estero o rivolgersi al privato. Il problema, dunque, non è nel numero limitato degli accessi alla facoltà di Medicina, e non si risolve con l’eliminazione di tale limite.

I programmi elettorali

Nel programma elettorale del Pd si legge che è stato superato «lo storico problema dell’imbuto formativo che limitava l’accesso alle scuole di specializzazione dei neolaureati in medicina»: ciò è vero, ma non si fa cenno al problema lavorativo dei prossimi anni.

Esponenti del Pd, peraltro, vorrebbero l’abolizione del limite degli accessi alla facoltà di Medicina, soluzione errata, come visto. Nel programma di Azione-Italia viva si propone per i medici «una più rapida ascesa di carriera» e «una remunerazione adeguata», così da limitare la fuga verso l’estero, nonché di «superare il meccanismo delle borse di studio» con un contratto di formazione e lavoro.

È corretto incentivare i medici a rimanere in Italia, ma restano i problemi di programmazione sopra evidenziati. Per la Lega va eliminato il test d’ingresso a Medicina, ma al termine del primo semestre andrebbe effettuato un test nazionale sulle materie studiate. Potrebbero sostenerlo soltanto gli studenti in regola con «gli esami previsti dal piano di studi relativo al primo semestre comune», e solo chi lo superasse potrebbe perfezionare l’iscrizione alla facoltà universitaria. Gli altri, invece, dovrebbero abbandonare il corso di studi.

Parimenti, per Fratelli d’Italia serve la «riforma del sistema di accesso alle facoltà a numero programmato», nonché quella della «formazione specialistica medica, attraverso un sistema che preveda la selezione a partire dal secondo anno di corso». Premesso che le carenze di specialisti non dipendono dal numero “chiuso”, come detto, tali proposte non considerano ulteriori problemi, per ovviare ai quali fu introdotto il numero “chiuso”.

Basti pensare, ad esempio, ai posti nelle aule o nei laboratori scientifici per le attività pratiche. «Come può una università sostenere 60mila iscritti? Con i maxischermi in piazza?», ha osservato l’Anaao-Assomed, aggiungendo che è «impossibile fare una vera selezione sul merito» al primo anno. Peraltro, ciò comporterebbe un costo aggiuntivo di circa 200 milioni di euro all’anno.

Dunque, le proposte elettorali non paiono molto centrate sulla corretta pianificazione dei futuri medici del Ssn. Del resto, che una politica senza veri statisti sia interessata più alle prossime elezioni che alla prossima generazione non è solo una celebre frase.

© Riproduzione riservata