«Il più grande giornale italiano ha messo la nostra manifestazione a pagina 25». «Non vi consola che il canale Russia 1 vi ha dato una grande copertura?». Il ruvido scambio di battute è andato in scena lunedì 7, nell’aula di Montecitorio, fra Riccardo Ricciardi, capogruppo M5s, e la calendiana Federica Onori. È successo all’avvio del dibattito sulle mozioni sul piano ReArm Eu, l’appuntamento fortissimamente voluto dai Cinque stelle per ribadire di essere il «principale riferimento» non più del centrosinistra – bei tempi, ma non tornano – ma almeno del popolo dei pacifisti italiani. Il poderoso corteo di sabato scorso a Roma è stato un successo indiscutibile ma soprattutto, per la prima volta, in una piazza (ex) grillina, sono arrivate anche le associazioni.

Dai banchi di un’aula vuota – della maggioranza c’era solo un commovente Enzo Amich, FdI – i Cinque stelle si sono scatenati a vuoto, con affermazioni a volte scivolose: «La guerra è iniziata perché gli Usa avevano scelto Kiev come testa d’ariete per smembrare la Russia e vincere la guerra fredda». All’uscita – novità – se la sono presa con la destra. «La maggioranza è assente dall’aula e l’unica folta rappresentanza presente per discutere la mozione sul riarmo è la nostra». Per il Pd ha parlato Stefano Graziano, capogruppo dem in commissione Difesa. Ha spiegato che il piano von der Leyen «va radicalmente cambiato» e che «il riarmo dei singoli stati non serve a costruire una difesa europea», per quella «serve il debito comune».

La destra non ha ancora depositato nessuna mozione. C’è tempo, ma potrebbe persino non arrivare niente, per non certificare le irriducibili distanze fra FdI, Lega e Forza Italia sul piano. Lo si vedrà al voto, forse il prossimo giovedì (la settimana parlamentare è rallentata dal discorso in aula di re Carlo d’Inghilterra, martedì 8, a Montecitorio) o più probabilmente il martedì seguente.

Ma oltre alla fuga della destra, la notizia è che fra l’esponente dem e i colleghi M5s si poteva indovinare un gentlemen’s agreement, una specie di disarmo bilaterale: zero polemiche reciproche, bandite anche le punzecchiature. L’orientamento finale è votarsi ciascuno la sua mozione e astenersi su quella dei futuribili alleati. Ciò non toglie che Giuseppe Conte e i suoi batteranno sul tasto del pacifismo radicale, che hanno finalmente individuato come un tema su cui non temere la concorrenza di Elly Schlein, costretta invece a muoversi come sulle uova viste le note «diverse sensibilità» presenti nel suo partito.

Ma senza risse con il Pd

Ma senza litigare con il Pd. O provando a non farlo più. «Andrà così, da ora in avanti», spiega un autorevole dem fra i pochissimi in circolazione nel Transatlantico. «Abbiamo tante battaglie comuni da portare avanti: decreto Sicurezza, riforma della giustizia, smantellamento della Corte dei conti». Di quest’ultima legge si è discusso in aula. Pd, M5s e Avs hanno presentato insieme le pregiudiziali di costituzionalità.

Serve un altro esempio della fase di «non belligeranza» fra Pd e Cinque stelle? Basta scorrere l’ultima dichiarazione di Schlein contro Giorgia Meloni sui dazi Usa. «Ora basta fare finta di niente», avverte la segretaria Pd, la premier «sostenga un negoziato europeo per interrompere l’applicazione dei dazi e predisponga un piano per sostenere i settori dell’economia italiana più colpiti, l’incertezza in queste settimane ha già fatto danni enormi mentre lei usava ancora il condizionale per non urtare Trump». In realtà a non nominare la parola «dazi» dal palco dei Fori imperiali, sabato, è stato anche Conte. Anche lui «per non urtare Trump»?

Chissà, pazienza, basta polemiche, viene spiegato, c’è da stringere i bulloni dell’alleanza. Conte dice che la sua piazza di Roma «è il pilastro dell’alternativa a questo vergognoso governo»? Di nuovo pazienza, tanto la sua «sfida per l’egemonia a sinistra» non spaventa nessuno perché, viene spiegato, «ha meno della metà dei nostri voti».

Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni stanno provando, riservatamente, a convincere i due alleati a trovare un modo per annunciare che «il cammino della coalizione è partito»: il tempo stringe, le elezioni anticipate sono una chimera, ma in caso le opposizioni sono in alto mare.

La road map

Schlein invece avrebbe in mente un altro percorso. Senza mettere il carro davanti ai buoi. Alla conferenza del Pd sulla casa – dove ha proposto agli alleati un’iniziativa comune anche su questo tema – ha ripetuto il suo consueto «lavorare testardamente unitari con le altre opposizioni per riuscire a portare a casa già dei risultati». Nel concreto crede che l’alleanza arriverà, ma non dai «tavoli»: sarà il traguardo di una road map intensa, a tappe di avvicinamento. Da ora a fine anno: primo, il voto per il comune di Genova, i sondaggi fanno ben sperare per la candidata del centrosinistra Silvia Salis. Poi, i referendum sul lavoro e sulla cittadinanza: acciuffare il quorum sembra proibitivo, ma viene ritenuto già un segnale positivo riuscire a portare alle urne tanti cittadini quanti serviranno a battere la destra: che alle politiche del 2022 ha preso 12 milioni di voti.

Infine le regionali. La data ancora non c’è, ma i preparativi fervono. Martedì 8 la Consulta si riunirà per decidere sulla costituzionalità della legge regionale campana sul terzo mandato. Se dovesse essere bocciata, Vincenzo De Luca uscirebbe di scena come candidato presidente ma rientrerebbe come kingmaker. Nell’attesa del funesto evento, il presidente ha già disarmato il suo rapporto conflittuale con M5s. Per lui, spiegano i suoi, un candidato contiano sarà un’amara necessità: l’ex ministro Sergio Costa sarebbe il più «potabile», anche se il nome per ora è Roberto Fico, lanciatissimo sul palco di Roma. E non è un caso che nella delegazione Pd al corteo ci fossero il commissario del Pd campano Antonio Misiani, il responsabile Sud Marco Sarracino, la commissaria di Caserta Susanna Camusso. In Puglia è dato per scontato che il candidato Antonio Decaro imbarcherà i grillini, e anche nelle Marche il papabile Matteo Ricci è avanti con le interlocuzioni. Restano il Veneto e la Toscana. Per la prima bisogna vedere se il centrodestra si spacca. Per la seconda invece gli abboccamenti sono ancora indietro: non sarà facile far digerire al Movimento la ricandidatura di Eugenio Giani. Alla manifestazione di sabato, comunque, è arrivato Emiliano Fossi, deputato ma anche – e soprattutto – segretario regionale toscano.

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