Dal mito di Charlie ai pasticcini: la domenica bestiale di Meloni

Non cita J.R.R. Tolkien o Giorgio Almirante. Nemmeno Ernst Jünger, come quando è diventata la capa dei giovani di An, nel 2004. Parlando alla chiusura di Fenix, la festa dei giovani di Fratelli d’Italia organizzata Roma, Giorgia Meloni delude i nostalgici. I tempi son cambiati, serve un’identità nuova. Così Charlie Kirk, l’influencer di destra assassinato il 10 settembre, entra nel pantheon meloniano. Alimentando l’impressione di una sorta di gara a distanza con il raduno leghista di Pontida. Lì era stato Roberto Vannacci ad arringare la folla al grido di «dobbiamo diventare gli eredi di Kirk». A distanza di un giorno, a poche ora dal funerale di Kirk a Phoenix, la premier lo ha indicato come un esempio di libertà. Salvini in ombra: La Lega del futuro è di Vannacci L’arma del vittimismo Per cominciare se l’è presa con i «moralizzatori» che «hanno riempito le pagine di commenti» sul movimento giovanile di FdI (chiaro riferimento all’inchiesta di Fanpage di un anno fa) ma non hanno detto «mezza parola sull’ignobile post pubblicato dai sedicenti antifascisti che esibiva l’immagine di Kirk a testa in giù con la scritta “meno uno”. Una minaccia di morte. Sapete perché Kirk faceva così paura? Perché smontava con la logica il mainstream. Andava fermato perché era libero, coraggioso e capace». «Noi – ha attaccato – non ci facciamo fare la morale da questa gente, non siamo come loro e non lo diventeremo mai e non cadremo nella loro trappola perché sarà sempre l’amore, non sarà mai l’odio, a muovere quello che facciamo». Parole che hanno richiamato subito alla memoria un vecchio adagio berlusconiano. Ianniello lascia Meloni: cambia la comunicazione di palazzo Chigi Così, come spesso capita, il vittimismo si è trasformato in un’arma per attaccare gli avversari. Nascondendo dietro una nuvola di propaganda l’incapacità del governo di affrontare i problemi del paese. Non a caso, poco prima di salire sul palco, a chi gli domandava se la destra cavalcasse «il clima d’odio per coprire gli scarsi risultati del governo come dicono le opposizioni», Meloni aveva risposto piccata: «Beh, mi pare una domanda molto condizionata». Immancabile l’attacco, senza nominarlo, a Roberto Saviano: «Abbiamo avuto fior fiore di commenti di questi sedicenti intellettuali che ci spiegavano che, apro virgolette, “non riescono ad accodarsi al coro morale di chi dice qualsiasi vita umana va rispettata”. Che in fondo vuol dire che la loro vita vale più della nostra, la vita di chi la pensa come loro vale più di quella di chi la pensa come noi. E qui abbiamo una semplice diapositiva non della sinistra italiana, proprio della sinistra mondiale». L’obiettivo è chiaro: mostrarsi come la leader di una destra che resiste ai “complotti” di chi vorrebbe impedirle di governare. I “risultati” del governo Non a caso la presidente del Consiglio fa l’elenco delle misure messe in atto dal suo esecutivo a cominciare dalla «coraggiosa» abolizione del reddito di cittadinanza e dalla creazione di un milione di posti di lavoro. Difende i decreti sicurezza, la priorità data alla lotta alla mafia e le politiche scolastiche basate sul merito in contrapposizione «ai disastri del '68, del 6 politico, della demeritocrazia costruita su una distorta concezione dell’uguaglianza, perché le scuole e le università devono essere liberate dalla gabbia opprimente e asfissiante in cui la sinistra le ha tenute per anni». Ecco la manovra: tutto su missili e carri e briciole alla sanità Ed è proprio a causa del suo buon governo, dice Meloni, che «loro» alimentano il clima d’odio. E come fatto anche dal palco dell’Udc, parlando dell’uccisione di Sergio Ramelli, torna a evocare gli anni di piombo. «Continueremo a rispettare gli avversari politici e a non aver paura del tentativo di demonizzarci, dei tentativi di censura, degli insulti, delle minacce che si moltiplicano man mano che dimostriamo di saper governare questa nazione. Non abbiamo avuto paura ai tempi in cui potevi essere ammazzato a colpi di chiave inglese per aver scritto un tema sulle Brigate Rosse, non abbiamo paura oggi e non avremo paura domani». Domenica In È un trionfo tra i militanti di Gioventù nazionale in piedi che applaudono sfoggiando le t-shirt con impressa una frase di Baudelaire «Estrarre l’eterno dall’effimero». «Non credete a quello che tutte le reti televisive, gran parte dei media e minoranza organizzata sui social cercano di propinarvi». Passano poche ore e a dare il cambio alla Meloni postmissina, proprio sulla rete tv ammiraglia della Rai, arriva la Meloni pop, quella rassicurante che scavalla ogni confine identitario. Complice un collegamento con Mara Venier a Domenica In, durante l’iniziativa Il pranzo della domenica - Italiani a tavola, a sostegno della candidatura della cucina italiana a patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. La ruota della fortuna di Fratelli d’Italia: salgono Lollobrigida e Foti, scende Cirielli «Perché la cucina da noi – sottolinea la premier – è il pezzo fondamentale della comunità. Io di solito passavo il pranzo della domenica con i nonni e per me, ma penso per molte famiglie italiane, è legato alle pastarelle. Mi ha legato moltissimo ai miei nonni materni il pranzo della domenica». Tra i militanti il fuoco del comizio, in tv il tepore della tavola. A tutti gli effetti un intervento da campagna elettorale, come denunciano le opposizioni. «Meloni continua a rifiutarsi di venire in parlamento a spiegare cosa farà l’Italia rispetto al riconoscimento dello stato di Palestina e alle sanzioni per il governo israeliano. Però continua a trovare il tempo di confezionare spot elettorali sul servizio pubblico», commenta la segretaria del Pd, Elly Schlein. Per i parlamentari del M5s: «Un’operazione indecente, pagata con i soldi del servizio pubblico, che ormai non è più servizio ma strumento di regime».