Per il secondo giorno il Pd imbraccia il caso Donzelli-Delmastro. E ora «quale servizio segreto si fiderebbe di inviare carte al Copasir o quale funzionario del Dap sarebbe tranquillo a inviare carte al suo ministero?». Alla camera, dopo l’informativa del ministro Guardasigilli Carlo Nordio sul caso dell’anarchico Alfredo Cospito, Debora Serracchiani (Pd) ufficializza la richiesta «di revocare le deleghe al sottosegretario Delmastro delle Vedove. Per la sicurezza nazionale e per la credibilità delle istituzioni che rappresentiamo». Dopo di lei il collega di Italia Viva Davide Faraone a sua volta formalizza la richiesta di dimissioni di Giovanni Donzelli da vicepresidente del Copasir: «Un parlamentare che non sa gestire informazioni delicate per la sicurezza del Paese non può farne vice il presidente». Anche i Cinque stelle picchiano duro, al senato, dove si replica l’informativa, l’ex magistrato Roberto Scarpinato chiede le dimissioni di Nordio. Riccardo Magi (Più Europa), che aveva dato dell’«analfabeta istituzionale» al deputato di Fratelli d’Italia: «Lei si assume la responsabilità di non intervenire», dice a Nordio, «ma deve assumersi la responsabilità di dirci cosa è accaduto rispetto le dichiarazioni dell’onorevole Donzelli», e «lei non ha voluto o non ha potuto assumere decisioni rispetto alle deleghe del sottosegretario Delmastro. A questo punto quella responsabilità ricade su di lei e sulla presidente Meloni».

Le opposizioni attaccano con toni diversi: il Pd chiede che il ministro torni in aula a riferire del caso Delmastro, Italia viva solidarizza invece per l’evidente imbarazzo con cui il Guardasigilli sorvola sulla fuga di notizie dal suo ministero, e il senatore Matteo Renzi allude a un’incertezza del Pd sul 41bis, «che è stata una vittoria della politica» facendo così saltare i nervi a Scarpinato. Il Pd deve negare a più riprese di voler cancellare il carcere duro. Per tutto il giorno il duo Donzelli-Delmastro ha cercato di spiegare, in evidente accordo, qual era il documento citato dal primo in aula martedì mattina, e la legittimità delle informazioni fornitegli «per le vie brevi» dal secondo, il sottosegretario alla Giustizia. Ma non hanno chiarito nulla. Donzelli dice che il colloquio fra Cospito e un detenuto al 41bis gli è stato riferito a voce, eppure le sue citazioni erano molto particolareggiate; l’altro, la fonte, che non si trattava di informazioni riservate dunque se richiesto le avrebbe riferite a qualsiasi parlamentare. «Le spiegazioni date chiamano in causa fenomeni paranormali per poter essere verosimili», ironizza l’ex ministro Andrea Orlando.

Nessuno si dimette

È chiaro che nessuno dei due si dimetterà. Delmastro ostenta sicurezza sul fatto che l’inchiesta interna ministeriale aperta da Nordio finirà senza conseguenze. Donzelli annuncia che resterà al suo posto. Dal Copasir bocche cucite, più del solito: ma è evidente l’imbarazzo fra i componenti e la certezza che, con un vicepresidente che spiffera quello che sa, gli auditi e gli interlocutori istituzionali «non si fideranno più». Viene notata anche l’immediata solidarietà data da Matteo Salvini al vicepresidente.

Non resta insomma che aspettare il Gran Giurì che Federico Fornaro (Pd-Art.1) ha chiesto e che il presidente della camera Lorenzo Fontana ha dovuto concedere con imbarazzo a sua volta imbarazzante. I cinque membri verranno nominati nei prossimi giorni, ma gli equilibri sono chiari: tre per la maggioranza, due per le opposizioni. La differenza potrebbe farla Forza Italia, che però ondeggia.

In realtà il Pd a Donzelli in realtà dovrebbe mandare un mazzo di fiori. L’attacco subito, per cui promette di difendersi «in tutte le sedi», è infamante. Donzelli ha sostenuto che la delegazione dei deputati in visita al carcere di Sassari abbiano «incoraggiato» Cospito e i mafiosi nella lotta contro il 41bis.

Ma il Pd, in piene secche congressuali, torna insperatamente protagonista delle opposizioni, dopo mesi di afasia. Certo, spiega un deputato «il fatto di non avere un segretario nelle sue piene funzioni pesa». E pesa anche che i due principali candidati al congresso arrivano tardi sulla vicenda.

Anche se per Elly Schlein il riserbo durato un giorno ha origine da un doloroso fatto personale. Nel dicembre scorso la famiglia della sorella Susanna, diplomatica all’ambasciata di Atene, ha rischiato di finire coinvolta in un attentato poi rivendicato dalla sigla «Carlo Giuliani Revenge Nuclei». Salva per miracolo: la molotov piazzata sotto la sua auto non è esplosa. Solo ieri da Bruxelles, dov’era andata per la campagna per le primarie, Schein si è unita al suo partito nella richiesta di dimissioni dei due Fdi: «Sulla gravità inaudita di quello che è accaduto sono stupita dal silenzio di Giorgia Meloni».

Un silenzio-assenso peraltro notato da tutti. Che Vittoria Baldino (M5s), spiega così: «Ci risulta difficile pensare che il luogotenente della presidente del consiglio Meloni, Donzelli, si sia avventurato su questo scosceso crinale senza una regia. Non ci fate così ingenui, lo sappiamo che il mandato politico arriva da palazzo Chigi dove si sente forte la necessità di recuperare credibilità su un piano, quello della legalità, su cui in cento giorni altro non avete fatto che indietreggiare».

È il dubbio che circola, forte, anche nel Pd. I due deputati Fdi hanno negato che Meloni fosse informata preventivamente del numero che Donzelli si apprestava a recitare in aula. Eppure è stato un numero «a freddo», secondo Orlando, che ha deviato l’attenzione dall’unanimità con cui stava nascendo in quello stesso momento la nuova commissione antimafia, ha “giustificato” il mantenimento del 41bis a Cospito (sarà Nordio ad avere l’ultima parola, ma si capisce già che eseguirà i desiderata della premier), e infine intasato le prime pagine dei giornali. Al posto delle tante crepe della maggioranza, a partire dalla legge sull’autonomia. Donzelli è il capo dell’organizzazione Fdi ed è fresco di nomina a commissario della ribelle federazione del Lazio, quindi un uomo di assoluta fiducia di Meloni. Come Delmastro, che Meloni ha spedito a marcare stretto il “troppo garantista” ministro Nordio a via Arenula. Difficile credere che abbiano agito in autonomia. Il sospetto è che l’episodio sia il primo di un cambio di passo nel rapporto con le opposizioni.

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