Se ne parlava già alla prima ondata. Come evitare che il malcontento venisse ancora una volta raccolto e rappresentato dalle organizzazioni criminali, soprattutto nelle situazioni in cui la sua presenza è evidente, cronicizzata e il tasso di disoccupazione è tra i più alti in Europa. Al tempo si trattava della crescente e comprensibile insofferenza, vista la situazione sociale, delle fasce più deboli della popolazione, i lavoratori in nero, riguardo gli effetti del lockdown sulle loro “attività”. Erano rimasti senza “occupazione” e nessun aiuto. Ci si è preoccupati, certo, in Italia si esprime preoccupazione di continuo, poi non si è fortunatamente vista alcuna spirale violenta, il lockdown è finito, e tutti sono tornati placidamente ai loro lavori in nero. Come se il problema fosse risolto.

Il nostro è il paese del timore, del preoccuparsi delle cose anziché occuparsi di esse, del dire e non del fare. Non è una novità, ma la pandemia è senza scrupoli, nessuno può più nascondersi. È stupefacente vedere quanto avrebbe potuto imparare il nostro governo dalla prima ondata pandemica. Una lezione che è stata ignorata, soprattutto rispetto a quanto di buono era stato fatto. Più che una seconda ondata, quella in cui troviamo, è la continuazione della prima, i mezzi per combatterla non si sono evoluti, semmai involuti.

Sfida continua

E poi c’è Vincenzo De Luca, il presidente della Campania. La sua figura spicca grossolana ed evidente come esempio massimo di incapacità di unire i cittadini anche quando è la situazione a renderli de facto tutti più uniti. Il suo atteggiamento di sfida continua, tracotante, bullo con il dizionario sotto mano ha naturalmente diviso anziché creare solidarietà. Egli ha usato un linguaggio che è stato correttamente interpretato dai peggiori come un terreno comune, ed essi gli hanno risposto da par loro.

Camorra, estrema destra e ultras, tutti insieme a sfidare De Luca. Nessuno, osiamo immaginare, ha consigliato De Luca su quanto il linguaggio e l’atteggiamento influenzino il modo in cui viene recepito il messaggio. O forse no, De Luca è consapevole di cosa sta facendo e si diverte molto a farlo.

Di fronte all’evidente necessità di unire il paese in momenti come quello che stiamo attraversando, momento nel quale è richiesto ai cittadini di essere lo stato, di controllarsi da sé, di fare un salto di consapevolezza, le parole, la mimica e la postura di De Luca non sono cambiate. È il latifondista che si degna di mettere al corrente i suoi servi che quest’anno la razione di grano per famiglia sarà decimata, e lo fa senza chiedere loro di capire, partecipare.

Non sorprende quanto accaduto l’altra notte a Napoli. La crescita esponenziale dell’irrazionalità, prima o tardi, genera violenza. Non possiamo davvero più permetterci sceriffi, reucci e capipopolo. Altrimenti questa volta il prezzo da pagare sarà ancora più alto.

Sciatori a ogni costo

A fare da splendente contraltare alla rivolta di Napoli abbiamo assistito in queste ore ad altri episodi di violenza estrema, meno facile da individuare perché rappresentata da comportamenti che una volta non sarebbero apparsi in nulla degli di nota, ma che alla luce della situazione attuale, a cornice cambiata, appaiono in tutta la loro disastrosa incongruità. I gruppi di sciatori che se ne fottono di quanto accade, che tracotanti quanto De Luca, si pigiano nelle funivie di Cervinia per farsi l’ultima pista prima del prevedibile lockdown non sono meglio del presidente della Campania, anzi, confermano credo quanto vado dicendo.

La stessa tracotanza da bullo certo di farla franca, l’egoismo infantile di chi non vuole rinunciare a suoi balocchi n’importe quoi. Sono, gli sciatori a ogni costo, i fanatici del possesso e dell’inclusione; viziati dal benessere, maldisposti a qualsiasi rinuncia, nemmeno mentre il paese è in ginocchio e in parti di esso gli esclusi diventano arma per i criminali che si rivoltano a un potere che riconoscono, perché come detto parla come loro, solo con parole più volgarmente e artificiosamente forbite.

Siamo sullo stesso terreno violento; così come l’atteggiamento di sfida di De Luca raccoglie tempesta, anche le immagini da Cervinia producono la stessa conseguenza in chi, in grave difficoltà economica, impossibilitato a fare il suo mestiere, guarda ai privilegiati che se ne sbattono. La violenza genera violenza e quelle immagini sono violente. Che siano state girate da un componente del branco che, riportano i media, dopo averle girate è rinsavito e pare sia sceso a valle senza nemmeno farsi una pista, è il lato comico che inevitabilmente convive con ogni nostra piccola, italianissima tragedia.

Gli invincibili

La stupidità provinciale degli sciatori a ogni costo rivela a ben guardare anche un altro aspetto che sembra coerente con questo quadro piuttosto oscuro. Essi si sentono invincibili. Loro hanno e fanno, sempre e comunque. E nella loro incapacità non solo di percepire lo stato d’emergenza nel quale è sprofondato il paese e il disastro che incombe, rivelano, oltre al disinteresse per qualsiasi discorso di sensibilità sociale, anche una implicita forse inconscia percezione di se stessi come se avessero un super potere in grado di difenderli dal virus.

Non solo mettono in pericolo gli altri e alimentano la divisione e l’indignazione (quest’ultima parente stretta della preoccupazione e altrettanto improduttiva), essi mettono in pericolo i loro stessi corpi, ciechi al pericolo, in questo senso sì democratico, del virus. I pirla invincibili che pensano che l’avere e il poter fare equivalgano a un salvacondotto permanente.

Tra quelli pigiati nelle funivie a Cervinia, è facile immaginare che la maggior parte di loro, proprio perché si trova lì, non stia vivendo sulla sua pelle gli effetti drammatici del collasso economico e sociale del paese. Questo implica che avrebbero di certo altri modi per vivere meglio dell’uomo comune le restrizioni imposte dalla pandemia, per godere dei privilegi certamente guadagnati con il duro lavoro – vogliamo essere ottimisti.

Ma a loro non basta la casa in montagna, nella quale passare l’eventuale lockdown davanti al camino, o una passeggiata in famiglia su un sentiero solitario. Loro vogliono tutto e sempre, come se nulla fosse accaduto. In questo quadro, la iperframmentazione dei poteri sta mostrando tutti i suoi limiti. L’indecoroso battibeccare tra le istituzioni, le richieste e gli strappi, il disordine assoluto nella comunicazione quando sarebbe necessario uniformarla pur nei distinguo delle situazioni locali, ha aggiunto ulteriori frizioni a decisioni già difficilmente comprensibili.

Ogni regione, visto l’enorme spazio lasciato loro dalla volontaria vaghezza e pochezza delle indicazioni del governo, reagisce al crescente contagio a modo suo. Non ci sono criteri condivisi, dati dai quali partire per stabilire un crescente livello di chiusura, per esempio, in base a questo o quell’indicatore; percentuale di occupazione negli ospedali, indice Rt, o altro. Certo, ci sono i tecnici per questo. Poi la politica deve decidere. E la politica non ha deciso, ha delegato ad altri politici e si è appellata ai cittadini.

E le figure come De Luca, ciniche nello sfruttare ogni possibilità per acquisire altro potere, ne approfittano. E anziché cercare di comunicare rassicurando, cerca, in ogni sua comunicazione, la guerra. Ora che è iniziata sarà felice. E a noi non resta, come accade oramai da decenni, che aspettare fiduciosi che il presidente della Repubblica metta i bulletti in riga.

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