Matteo Renzi è intervenuto al Senato, durante il dibattito sul ddl penale, già blindato dal voto di fiducia e poi definitivamente approvato. Annunciato dallo stesso leader di Italia Viva nella sua newsletter come «uno degli interventi più difficili della mia carriera» e motivato dal «dovere di dire parole di verità» sul rapporto tra politica e giustizia, ad un primo ascolto il è suonato invece come una presa di posizione piuttosto estemporanea.

Cosa ha detto Renzi

Le parole di Renzi, infatti, hanno riguardato interamente un altro disegno di legge, seppur collegato al penale – quello di riforma del Consiglio superiore della magistratura – che per di più si trova in esame nell’altra camera. L’ex premier ha descritto il momento attuale come «il più tragico della storia del potere giudiziario», ha fatto riferimento alle faide in corso tra magistrati (in particolare quella tra il procuratore capo di Milano Francesco Greco e l’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo) e ha concluso dicendo che il problema non è «la separazione delle carriere, è lo strapotere vergognoso delle correnti della magistratura, che sembrano la partitocrazia del 1991». Trovati i cattivi, ha indicato gli obiettivi da raggiungere: i magistrati devono sentirsi liberi nel loro lavoro anche se non sono iscritti a una corrente; i politici non devono temere che gli avvisi di garanzia blocchino le loro carriere; le guarentige dei parlamentari devono essere rispettate e non ignorate «dall’uso mediatico delle indagini». Se i principi sarebbero obiettivamente condivisibili da tutto l’arco parlamentare, è la conclusione del discorso a far capire quale sia l’obiettivo esplicito dell’intervento: il Csm, che verrà rinnovato nel luglio del 2022 con il nuovo regolamento elettorale previsto dal ddl di riforma e che deve «scrivere una pagina nuova», altrimenti «la vittima della nostra inerzia sarà a credibilità delle istituzioni e la dignità della magistratura».

L’avvertimento a Cartabia

Le parole di Renzi vanno però decodificate e inserite nel contesto. Ma soprattutto va colto che sono rivolte principalmente alla ministra della Giustizia, Marta Cartabia e suonano come un avvertimento in vista della partita quirinalizia di febbraio 2022, in cui la guardasigilli è considerata candidata.

Per arrivare a febbraio con qualche chance, la guardasigilli deve portare a termine nei tempi stabiliti le tre riforme della giustizia previste nel Pnrr entro il 2021: il ddl penale è stato approvato con la fiducia e il ddl civile avrà lo stesso iter nelle prossime settimane. Manca solo il ddl di riforma dell’ordinamento giudiziario: quello su cui Renzi ha dettato le sue condizioni e implicitamente avvertito che è pronto a fare ostruzionismo. Dal discorso del leader di Italia Viva si evince anche che considera il testo attualmente alla Camera troppo poco coraggioso, in particolare sulla modifica del sistema elettorale. Non a caso, parlando coi giornalisti fuori dall’aula ha dato sostanza al suo attacco: «Pur di abolire le correnti della magistratura prenderei in considerazione l'idea del sorteggio». Esattamente l’idea bocciata dalla maggior parte dei gruppi associativi, scartata anche dalla commissione Luciani ed esclusa dalla riforma, che si limita – nel testo arrivato alla Camera – ad aumentare il numero e cambiare la geografia dei collegi.

Renzi, nel definire le correnti della magistratura la nuova partitocrazia in stile Mani pulite, sta sfidando a Cartabia a scegliere da che parte stare. Con le toghe che oggi sono in crisi, dopo aver fustigato la politica con avvisi di garanzia (Renzi in un passaggio cita anche le sue personali vicende giudiziarie, ancora in corso). Oppure con la politica, che invece la sta legittimando e che potrebbe aprirle la strada del Colle. Anche perchè in Italia Viva non è un mistero che anche Cartabia sia tenuta in considerazione come nome “quirinabile” su cui puntare e - posto che dalla quarta votazione in poi basta la maggioranza dei voti – la pattuglia renziana può avere un ruolo decisivo nell’individuare il nuovo presidente della Repubblica. Quello di Renzi, allora, sembra essere un test per la ministra.

La posizione di Italia Viva è tatticamente chiara: lasciar passare i due ddl di sostanza che riformano i riti penale e civile, tirare la corda su quello di minor impatto diretto sulla durata dei processi (che è l'obiettivo finale da raggiungere chiesto dall’Unione europea) ma più mediatico. La necessità di riforma del Csm, infatti, nasce con lo scandalo Palamara e viene vissuta come un secondo round dopo lo strapotere della magistratura degli anni di Tangentopoli. 

Al netto della mossa politica, esiste una contraddizione di fondo nell’attacco così duro di Renzi ai gruppi associativi: del suo gruppo alla Camera, infatti, siede il magistrato in aspettativa Cosimo Ferri, ex potente capocorrente di Magistratura indipendente in attesa di procedimento disciplinare al Csm proprio per la cena all’hotel Champagne, in cui si discuteva della nomina al vertice della procura di Roma.

 

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