La pedata del rapper Fedez per accelerare l’iter della legge antiomofobia scatena le fantasie leghiste a caccia di un nuovo trucco per rallentarla. Matteo Salvini, uscito malconcio dal concertone del Primo maggio, capisce che il tema è troppo popolare per mettersi platealmente di traverso. La contromossa arriva da Andrea Ostellari, il presidente-relatore della commissione Giustizia del Senato accusato di «tenere in ostaggio» il testo. A sorpresa annuncia un colpetto di scena: «È pronto un testo della Lega che mira a tutelare tutte le persone più vulnerabili, ampliando la sfera rispetto al testo Zan». Sarà depositato in settimana. Deve essere stato preparato nottetempo, visto che fin qui il presidente diceva di aver bisogno di «qualche settimana» per avviare i lavori in commissione su un testo unificato. È cambiata anche la sua primitiva convinzione che «non serve nessuna legge», perché contro gli omofobi «le tutele ci sono già». Nel testo annunciato infatti si cambia verso: «Si prevede un’aggravante che aumenta le pene per tutti i reati commessi nei confronti delle persone più deboli». Nella coda c’è il veleno. Il contributo, spiega, prende in considerazione non solo le critiche della Lega ma anche quelle di «parte della sinistra e delle associazioni femministe». Che così si trovano a fare da alibi al leghista.

Il trucco

Ostellari ora dunque recita la parte del dialogante. Ma è un trucco: se emendato, il testo Zan dovrà tornare alla Camera in terza lettura. In assenza di accordo fra le forze politiche, equivale a dire che verrà affossato. Il senatore Franco Mirabelli, capogruppo dem in commissione, svela l’illusionismo: «Quante parti in commedia pensa di poter fare Ostellari? Presidente di commissione, relatore di un ddl che non condivide e ora presentatore di un ddl della Lega in contrapposizione al ddl Zan». L’obiettivo è trasparente: incardinare il nuovo disegno di legge serve a bloccare i testi già calendarizzati, sono cinque sullo stesso argomento. Una situazione mai vista, secondo Mirabelli: «Il presidente, anziché essere garante e accettare il voto espresso settimana scorsa, vuole impedire la discussione. Altro che voglia di confrontarsi».

Il prossimo match è in agenda per giovedì, ma è l’ultimo punto all’ordine dei lavori della commissione, il punto a cui non si arriva mai. E in ogni caso per la senatrice Monica Cirinnà resta una «trappola», «un testo unificato che prende un pezzo di tutte le proposte potrebbe essere il migliore del mondo, però segnerebbe la morte del ddl Zan». Bisognerà anche capire l’atteggiamento di Forza Italia. Gli azzurri non sono del tutto allineati all’asse Lega-Fratelli d’Italia. Ma al dunque fin qui in commissione hanno votato con gli alleati. Il Pd ha fatto della legge Zan una bandiera e vuole incassare la spinta del concertone, tant’è che pensa a uno strappo. Lo propone proprio Cirinnà, «madre» della legge sulle unioni civili, il testo che nel 2016 – sotto il governo di Matteo Renzi – fu approvato con il voto di fiducia in aula per aggirare la valanga di emendamenti che la destra aveva rovesciato in commissione. Per la cronaca, i Cinque stelle si astennero. Cirinnà propone di fare come allora: «Se la commissione resta un pantano, bisognerà portare direttamente il testo in aula con un accordo di maggioranza». E la maggioranza numerica c’è: è quella «che ha già approvato il testo alla Camera, compreso un pezzo di FI. Basta ricostruire, laddove ce ne siano le condizioni, quell’accordo in Senato».

Ma le condizioni oggi sono molto diverse dal 2016. Intanto bisogna aspettare la fine della discussione generale della commissione, che non è neanche iniziata e che Ostellari prova a rimandare con tutte le mosse che i regolamenti gli mettono a disposizione. Per di più oggi l’accordo con Forza Italia sembra impraticabile. Come alla Camera, gli azzurri lasceranno libertà di voto. Ma Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia e leader della corrente filosalviniana, insieme a Licia Ronzulli – entrambi vicinissimi a Silvio Berlusconi – hanno già anticipato il loro no. E c’è anche Italia viva che, con il senatore Davide Faraone, apre alle modifiche: «Miglioriamo e votiamo in fretta il ddl Zan senza inaccettabili ostruzionismi».

Nessuna indicazione

Insomma la strada della legge resta tutta in salita. Palazzo Chigi resta fuori dai conflitti della maggioranza. Che litiga su tutto: dopo il concertone e le accuse di Fedez alla Rai, ha aggiunto alla lista dei litigi anche quello sulle future nomine del servizio pubblico, preso atto delle non smaglianti performance dei manager indicati dal primo governo Conte. Con esiti paradossali: l’europarlamentare pentastellato Dino Giarrusso presenta un’interrogazione a Bruxelles sul caso “censura” e chiede «venga monitorato il sistema mediatico italiano tanto quanto quello di altri paesi come l’Ungheria».

Né Lega, nella sua repentina versione dialogante, riesce a trattenere le stecche fra i propri dirigenti. Secondo Massimiliano Bastoni «si sta facendo una grande campagna pro ddl Zan e si cerca, con un messaggio sbagliato, di fare passare chi è contro questo disegno di legge come a favore della violenza e della discriminazione». Il signore in questione è un consigliere lombardo, uno dei leghisti citati sul palco per aver definito il Gay pride «un deprimente palcoscenico di qualche migliaio di frustrati, vittime di aberrazioni della natura». Era il 2015, il riferimento era alla parade di Milano. Bastoni puntualizza: «Fedez ha estrapolato una frase di un comunicato molto più lungo», con «aberrazioni della natura», rassicura, si riferiva «ad alcuni personaggi in particolare». Convinto che questa sia un’attenuante.

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