Il sacro missile del Vaticano inviato al governo italiano a mezzo «nota verbale» contro la legge sull’omofobia. La risposta ferma di Mario Draghi («Il nostro è uno stato laico, non è uno stato confessionale»). Infine un tentativo di ricucitura: ieri il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, in un’intervista apparsa su VaticanNews e sull’Osservatore Romano, quindi con tutti i crismi della ufficialità, ha spiegato che la Conferenza episcopale «ha fatto tutto il possibile per far presenti le obiezioni al disegno di legge» ma «non ha chiesto di bloccare la legge, ha suggerito delle modifiche. Così anche la nota verbale si conclude con la richiesta di una diversa “modulazione” del testo. Discutere è sempre lecito». Discutere è lecito, ingerire negli affari di un altro stato dipende. I toni del porporato lasciano intuire la consapevolezza che le richieste vaticane si siano trasformate uno smacco di immagine. Ma in sostanza la tensione fra le due sponde del Tevere sembra sciogliersi.

A tavola con gli orbaniani

Questo ha un effetto anche sull’iter del ddl Zan. Mercoledì sera, dopo le parole di Draghi, gli ex giallorossi del Senato (tutti, compresa Italia viva) hanno chiesto alla conferenza dei capigruppo di votare il passaggio in aula della legge. Deciderà l’assemblea con un voto il 6 luglio. E se tutto va bene, cioè se l’ex maggioranza tiene, il 13 luglio il testo approderà in aula dopo che per mesi è rimasto sequestrato in commissione giustizia grazie ai giochi di prestigio del presidente leghista Andrea Ostellari. I tempi dell’approvazione comunque non sono brevi: fra emendamenti e voti, difficile che il sì finale (al testo attuale o a un testo emendato) arrivi prima della pausa estiva.

Comunque l’iter parte. In cambio il Pd accetta di sedere al tavolo di confronto sulla legge che per primo ha proposto Davide Faraone di Iv e che ora Ostellari fa suo. Si riunirà mercoledì 30 giugno alle 11, invitati tutti i presidenti dei gruppi di maggioranza. Ostellari ha cambiato tono: «Vediamoci, anche in streaming, per agevolare tutti, confrontiamoci nel merito del testo e insieme troviamo la soluzione migliore». Il Pd ha portato a casa la calendarizzazione, quindi accetta: «Andremo a vedere quali sono le proposte concrete che ci avanza il centrodestra per trovare mediazione», risponde Franco Mirabelli, capogruppo del Pd in commissione giustizia.

Al Senato in molti assicurano che alla fine l’accordo su qualche modifica si troverà. In realtà è difficile anche solo immaginare una mediazione con la Lega e con la parte di Forza Italia che si è schierata contro la legge Zan (ce n’è un’altra, minoritaria, che non si espone ma non è così contraria). Non solo perché il testo alternativo presentato dalla destra di governo e firmato da Licia Ronzulli è considerato un’azione diversiva. Del resto fino al primo maggio, quando il rapper Fedez fece esplodere la vicenda dal palco del Concertone, Lega e FdI sostenevano che non ci fosse bisogno di alcuna legge contro l’omotransfobia.

Ma il fatto è che fra i due schieramenti c’è un abisso politico e culturale. «Quello che oggi chiede al Pd di sedersi a un tavolo per discutere di ddl Zan è lo stesso che sempre oggi dice di non capire le “intromissioni” di tutta l’Unione europea – compreso il nostro premier – sulla legge illiberale e omofoba approvata nella Ungheria del suo sodale Orbán», twitta il deputato del Pd Filippo Sensi all’indirizzo di Matteo Salvini. Mirabelli è più che scettico: «A oggi, stando alle cose sentite nelle audizioni, mi pare molto difficile trovare una strada comune. Pensare che arrivino proposte accoglibili sembra difficile. Ma è giusto provarci». Da Salvini più che un tentativo di mediazione arriva una sfida. «Non vogliamo che l’educazione gender entri nelle scuole, né possiamo tollerare restrizioni alla libertà di pensiero o parola. Sono contento che anche la Santa Sede abbia espresso dei dubbi. Come peraltro, da versanti diversi, hanno fatto esponenti femministe e della comunità Lgbt».

Ma Letta dice no

Ed è per questo che ieri mano a mano che la giornata va avanti Enrico Letta si convince che anche il tavolo è solo una trappola per far di nuovo impantanare la legge. Da Milano, dove è a un’iniziativa insieme al sindaco Giuseppe Sala, dice che non ci sta: «Secondo noi il ddl Zan così com’è costruito ha al suo interno tutte le componenti e tutte le garanzie. In questo momento la cosa migliore è andare in parlamento e ognuno dirà la sua. La nostra è di approvarlo così com’è».

Del resto in aula i numeri in teoria ci sono. A meno che Italia viva non si sfili, apertamente o in qualche voto segreto. Al quotidiano Repubblica Matteo Renzi ricorda che il suo governo nel 2016 ha approvato le unioni civili dopo aver deciso di depennare l’adozione dei figli del partner (le famose «stepchild adoption»). E con un voto di fiducia. Ma, appunto, lui era premier. Invece Draghi mercoledì ha spiegato che il governo non metterà bocca sulla riforma.

Peraltro Renzi aggiunge parole che suonano come la classica scusa non richiesta. O forse una profezia che si autoavvera: «Iv ha già votato alla Camera e voterà in Senato. Ma suggerisco prudenza: se con il voto segreto va sotto su un emendamento, la legge rischia di essere affossata. I promotori devono decidere se accettare alcune modifiche con una maggioranza ampia o rischiare a scrutinio segreto su questo testo». I senatori del Pd si dividono fra chi teme, non da oggi, che una parte di Iv, quella di stretta obbedienza renziana, stia mettendo le mani avanti; e quelli più navigati, che sanno che i voti segreti spesso segreti non restano, e non credono che Iv possa attirarsi il sospetto di aver affossato la legge sull’omofobia, dopo averla scritta con il Pd: «Iv voterà il ddl», Mirabelli ne è sicuro, «e io penso che sui voti segreti, rischiano di perdere più voti gli altri che noi».

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