Giura di non essere grillino ma è a lui che Conte si è rivolto per mettere in piedi una Frattocchie dei Cinque Stelle. A loro impartisce lezioni come montagne russe (non putiniane), dal marxismo di Adorno alla decrescita infelice di Latouche. Che ha un padre, secondo lui: (l’incolpevole) Berlinguer

«L’altra sera ho visto un programma sul lavoro femminile. Si parlava di precarietà. Ebbene, c’è poco da fare: dietro quello che sta succedendo c’è uno scontro fra due modi di vedere l’esistenza umana e la società. Da una parte quello dei neomarxisti della scuola di Francoforte, che aveva come scopo la felicità intesa come contrapposizione all’alienazione; dall’altra quello neoliberista di Vienna, interessato a concentrare quante più risorse e potere nelle mani dell’élite dominante, facendo appello all’individuo e riducendo al minimo il ruolo dello stato».

Allacciate le cinture di sicurezza, il sociologo Domenico De Masi ha scritto un nuovo libro, La felicità negata (Einaudi), in cui si confronta con i grandi classici della sociologia e dell’economia, spiega perché ci sono tutti i presupposti per essere sempre più infelici e propone la famigerata decrescita felice.

In mezzo infila quattro paginette al vetriolo contro il Mario Draghi del decennio 1991-2001, insomma quello del discorso sulle privatizzazioni sul panfilo Britannia, che faranno la felicità dei grillini che spingono per la rottura con il governo dell’ex banchiere. «Cerco di spiegare perché i primi hanno straperso e gli altri stravinto. E dominato il mondo. Con Donald Reagan e Margaret Thatcher. E da noi il neoliberismo ha vinto con Draghi, in Italia fu privatizzato quasi tutto. E ci sono stati anche quattro governi di sinistra su nove, e ministri delle Finanze di sinistra». De Masi è il sociologo considerato un guru dai grillini. Con loro ha collaborato a fasi alterne, giura di «non essere grillino». Eppure è il vero suggeritore della scuola di politica voluta da Giuseppe Conte, che si è messo in testa l’encomiabile obiettivo di alzare il livello dei suoi.

Professore, lei propone di studiare la scuola di Francoforte ai Cinque stelle. Insomma leggere Marcuse a Toninelli?

Lo propongo ai Cinque stelle e a tutti. C’è uno scollamento fra politica e vita, e dipende anche dalla non preparazione dei parlamentari. Noi intellettuali oltre a criticarli con la spocchia e la puzza sotto il naso dovremmo contribuire alla loro crescita intellettuale. Ho proposto un’attività formativa a Nicola Fratoianni, di Sinistra italiana, perché io voto a sinistra del Pd, ma alla fine non è stato possibile. Poi ho conosciuto Conte, l’estate scorsa, alla presentazione di un libro. Mi ha chiesto qualche consiglio. Gli ho detto: siete accusati di essere ignoranti, fate una scuola. Con costituzionalisti, letterati e artisti. E lui mi ha detto che ci aveva già pensato e l’aveva messo persino nello statuto.

Ci riprovo: consiglia la lettura della Personalità autoritaria di Theodor W. Adorno a Vito Petrocelli?

Consiglio di studiare Adorno e Marcuse, non c’è dubbio. E anche Marx e tutto il bagaglio teorico della sinistra. Per darsi un modello di società, che i Cinque stelle non hanno.

Però nel suo saggio propone la decrescita felice: non è mica un modello marxista.

E invece Enrico Berlinguer è stato un grande teorico della decrescita felice. Nel famoso discorso tenuto al convegno degli intellettuali al teatro Eliseo di Roma nel 1977 teorizzò l’austerità. Ed è proprio quello che dice Serge Latouche (il principale teorico della «decrescita serena», ndr). E la prova è che Latouche ha scritto un libro in cui considera Berlinguer un precursore, perché predica la felicità del rifiuto del consumismo. Insieme a Gandhi. Lei si ricorda quando ogni sera accendevamo la tv per sapere se la pandemia decresceva? Ecco, la decrescita felice è la decrescita degli elementi negativi della società, lo sfruttamento, la violenza, gli sprechi.

Berlinguer era un comunista, non un decrescista. Era contro il consumismo ma per il progresso, ed era favorevolissimo alla creazione della ricchezza, che poi doveva essere ridistribuita.

La ricchezza è una cosa positiva se non costa inquinamento, concorrenza, violenza. Senta, io parto dal presupposto che tutti i politici devono studiare. E anche i Cinque stelle, che sono una massa di squinternati. Ma anche il Pd, che è diventato un rispettabile partito di centro e non si rifà più fa ai suoi antenati, come Berlinguer. Letta non cita mai la parola “classe”.

Per lei il Pd è un partito di centro, e i Cinque stelle sono la sinistra?

Noi in questo momento abbiamo cinque milioni di poveri assoluti, sette di poveri relativi che a ottobre diventeranno quattordici milioni per le conseguenze delle guerra a casa nostra. Sto parlando anche di migliaia di laureati che portano le pizze tutte le sere. E delle ragazze a cui hanno offerto un lavoro di dodici ore al giorno per 350 euro, che ho visto l’altra sera in tv. L’ultimo politico che ha dato voce da sinistra ai poveri è stato Berlinguer. Una parte di questi vota Matteo Salvini e Giorgia Meloni, la gran parte non vota. E l’unico spazio esistente è a sinistra del Pd, perché il Pd non si interessa di questo blocco. L’idiozia dei Cinque stelle è quella di non coprire quello spazio.

Conte e Luigi Di Maio sono ai ferri corti, con tutta probabilità ne sopravviverà uno solo. Come pensano alcuni commentatori, Conte si dovrebbe fare da parte?

Conte e Di Maio sono gli unici politici davvero nuovi venuti alla ribalta negli ultimi anni. Non sono stupidi, sono diversi. Uno è un accademico di cinquantott’anni, l’altro è un trentacinquenne ruspante ma molto intelligente e furbo. Se andassero d’accordo sarebbero una potenza. Il fatto che non trovino un accordo è una iattura per i Cinque stelle e lo sarà per tutta la sinistra. A me interessa che non vinca la destra, se no ce la teniamo per vent’anni. E io, che ho la cittadinanza brasiliana, ho visto come il paese democratico di Cardoso e Lula – molto più democratico dell’Italia – in un solo anno di Bolsonaro si è trasformato. Per noi l’ultima speranza è un’alleanza fra Pd, M5s e Sinistra italiana. Sperando che convincano almeno un po’ dei dodici milioni di poveri. Quindi c’è poco da sfottere i Cinque stelle. La realtà la sanno tutti a sinistra: ed è che servono.

Il problema è che Conte ogni giorno strappa con il governo. E anche con il Pd.

Io, se fossi Conte, uscirei dal governo. Anzi, non ci sarei mai andato a governare con Draghi. È un governo neoliberista con qualche raro spruzzo socialdemocratico. Perché stare all’opposizione con il 32 per cento era proprio quello che fece Berlinguer. Ma così ha ottenuto la riforma sanitaria, lo Statuto dei lavoratori e tante riforme.

Scusi professore: ma se vanno all’opposizione però poi rompono l’alleanza giallorossa. E, diceva lei, vince la destra.

Ma tanto il Pd non ha alternative. Se si allea al centro con Calenda e con Renzi non arriva neanche al 30 per cento. Il Pd avrebbe fatto bene a educare i Cinque stelle. Che tuttora sono un partito senza forma e possono diventare di sinistra o anarcoidi. Anche se durante il primo governo Conte sono stati depurati della loro parte di destra, e infatti Salvini raddoppiò i consensi e loro li dimezzarono. Ora sono rimasti i granellini di sinistra, ma non formati alla politica. E il Pd, che peraltro non è fatto da premi Nobel, doveva educarli anziché trattarli come degli ebeti. Come dopo la caduta del muro di Berlino dovevamo inglobare la Russia nell’occidente e non l’abbiamo fatto per far piacere all’America, così la sinistra doveva attirare i Cinque stelle e fare in modo che si formassero.

A proposito di Russia. Pd e M5s litigano sulla guerra di Putin contro l’Ucraina. Anzi sull’invio delle armi a Kiev. Lei è contro le armi?

Putin è un dittatore che vuole rifare l’Unione sovietica. Quando fu invasa la Crimea però nessuno in Italia si è accorto di niente, io compravo Le Monde perché era l’unico giornale che ne parlava. Questa guerra ritarda di chissà quanti decenni la possibilità di fare un’Europa dai Pirenei agli Urali. Ma sulle armi le dico la verità, non lo so. Ci sono ragioni pro e ragioni contro. Lo sapremo alla fine: se vincerà l’Ucraina avremo fatto bene a inviarle, se alla fine vince la Russia avremo aggravato le cose. E poi, mi scusi, sono un sociologo non un esperto di geopolitica.

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