Tra la fine di aprile e l’inizio di giugno molti provvedimenti attendono la conversione. Le opposizioni annunciano le barricate, ma la premier spinge sull’accelerazioni delle forzature
Il governo continua con la sventagliata di decreti. Una serie interminabile che calpesta il parlamento e rischia di aumentare le possibilità di incidenti parlamentari. E altri decreti sono già messi in conto come quello per rivedere il pasticcio sulla previdenza: senza un intervento legislativo, infatti, si allungheranno in automatico i tempi per andare in pensione. Altro che abolizione della riforma Fornero, promessa dalla destra in coro con Matteo Salvini in testa. Il premierato, insomma, è in alto mare, ma è già attuato a colpi di strappi.
L’ingorgo in parlamento è già in arrivo nei prossimi giorni, al ritorno dalla festività pasquali. Alla Camera bisogna approvare il decreto Pubblica amministrazione, l’ennesimo sulla materia, per spedirlo al Senato in fretta e furia. Il confronto in commissione è stato ridotto al massimo, provocando l’ira delle opposizioni e costringendo a sessioni notturne per la votazione degli emendamenti.
Negli stessi giorni, quindi a ridosso della Festa della Liberazione, palazzo Madama è chiamato a licenziare il decreto Bollette, già passato a Montecitorio con l’ennesimo voto di fiducia, il numero 83 dall’inizio della legislatura.
Un ritmo record, con una media intorno a 2,8 voti di fiducia al mese, quasi al passo con i governi tecnici di Mario Monti e quello di Mario Draghi, che per la loro natura eterogenea hanno spesso dovuto blindare i testi.
Di mezzo c’è anche la necessità di votare in parlamento il Documento di finanza pubblica, il vecchio Def. Non si tratta di un decreto, ma è un passaggio ineludibile. Anche perché le opposizioni hanno già attaccato il contenuto del testo, che si limita a scattare una fotografia dell’esistente.
Appelli ignorati e tensioni crescenti
Insomma, incurante degli appelli del Quirinale e delle lamentele che arrivano dal parlamento, a partire dai presidenti della Camera, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, il governo da Giorgia Meloni continua a sfornare decreti. Solo che adesso viene presentato il conto: bisogna convertirli entro sessanta giorni per scongiurare la decadenza. Come? Ignorando le procedure previste dalla Costituzione.
Una spinta che diventa sempre più forte a causa delle tensioni interne alla maggioranza, in costante aumento. La situazione è complicata da gestire, perché il clima tra gli alleati non è idilliaco. Anzi. Dietro i sorrisi di ordinanza, a favore di telecamera, si accumulano le scorie delle incomprensioni su numerosi dossier: riarmo, guerra in Ucraina, approccio con Donald Trump e conseguenti concessioni a Starlink di Elon Musk.
Forza Italia, secondo quanto raccontano a Domani, ha chiesto una maggiore attenzione su temi centrali per l’elettorato azzurro: il taglio delle tasse al ceto medio, attraverso la riduzione dell’aliquota del secondo scaglione Irpef. Una promessa Godot, per ora: la battaglia di Antonio Tajani continua a restare frustrata, mentre la Lega insiste sulla rottamazione delle cartelle che ha un costo simile a quello della riduzione della pressione fiscale. Un braccio di ferro.
Cosa c’entrano questi due argomenti con i voti in parlamento? I malumori possono tramutarsi in agguati, piccoli o grandi, che chiameranno a un super lavoro i capigruppo di maggioranza per evitare scivoloni sui voti più delicati.
Non serve Nostradamus per fare previsioni: ci sarà un altro grappolo di voti di fiducia, fondamentali per evitare trappole. Il Movimento 5 stelle ha annunciato un cambio di passo nell’opposizione, promettendo ostruzionismo su qualsiasi provvedimento. L’irrigidimento potrebbe davvero portare ad arrivare sul filo del rasoio per il via libera definitiva dei vari provvedimenti. Il dialogo resta una chimera.
Tensioni e forzature
Bisogna inquadrare la questione dal punto di vista pratico, enumerando le cose da fare. Se l’incrocio di decreto Pa e decreto Bollette è già agli atti, nel mese di maggio andrà ancora peggio. Soprattutto al Senato occorre una decisa accelerazione perché sono in esame tre decreto che scadono nella seconda metà del mese: il decretoElezioni, approdato all’attenzione delle cronache politiche per il tentativo di blitz sulla cancellazione del ballottaggio alle comunali, quello sulla cittadinanza e l'altro sull’immigrazione irregolare. Tutto in pochi giorni, un fazzoletto di una settimana o poco più.
Sullo sfondo c’è poi il moloch del decreto Sicurezza, che è atteso al varco dalle opposizioni: non è andato giù la decisione di tramutare in decreto un disegno di legge che era in discussione in parlamento da oltre un anno. Una mancanza di rispetto che grida vendetta. L’ostruzionismo diventa inevitabile, osservano dalle opposizioni, visto peraltro il contenuto contestato dal centrosinistra. Ma Meloni tira dritto con il suo premierato di fatto.
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