Lo schema non cambia. I decreti Aiuti, sia quello già in parlamento che l’altro nuovo da far approdare in Consiglio dei ministri, sono l’oggetto di scontro in piena campagna elettorale. Con il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte in versione barricadera, tutto orientato a massimizzare la vicenda per risalire nei consensi. Il presidente del M5s, ringalluzzito dagli ultimi sondaggi, sta portando all’estremo le posizioni contro il presidente del Consiglio, Mario Draghi, con il tentativo di prendersi una sorta di rivincita in materia di Superbonus.

Ma il governo, sul punto, non ha intenzione di arretrare: il timore è quello di dare il via libera alle truffe con l’eliminazione del principio della responsabilità solidale sulla cessione del credito. Il premier può contare sull'appoggio degli altri gruppi, che non vogliono cedere alla pretesa dell'avvocato di Volturara Appula. A ribadire la linea del leader ci ha pensato il senatore uscente Gianmauro Dell’Olio: «Non stiamo bloccando niente, ma stiamo tenendo il punto sugli emendamenti per sbloccare la cessione dei crediti per il Superbonus e gli altri bonus edilizi, per cercare di salvare migliaia di aziende che rischiano di saltare». Un mantra destinato ad accompagnare la campagna elettorale nei prossimi giorni.

Plafond elettorale

Così, a due settimane dalle elezioni i miliardi di euro a disposizione sono un tesoretto ghiotto per provare a rivendicarlo agli occhi del paese. Ognuno a proprio favore. La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha garantito che il 15 settembre sarà alla Camera per la votazione sul decreto Aiuti bis e sulla relazione del governo sull’aggiustamento di bilancio, varata in Cdm nei giorni scorsi. Più che uno stop alla campagna elettorale, è una modalità per continuarla con altri mezzi, facendo appello al «senso di responsabilità degli altri partiti».

Una posizione che ha dato fiato a Carlo Calenda, fondatore di Azione: «Sono venti giorni che chiedo di fermare la campagna elettorale». Intanto, Matteo Salvini ha rilanciato l’appello al Partito democratico: «Firmiamo l'accordo contro il caro bollette qui a Palermo», sollevando allo stesso tempo sospetti sulla strategia delle altre forze politiche: «Pd e M5s non fanno nulla perché sanno che vincerà il centrodestra e vogliono ostacolarlo».

Il segretario del Pd, Enrico Letta, ha evitato la replica diretta, chiedendo al governo di «agire nell'immediato con scelte che vanno fatte subito».

A chiudere il cerchio c’è la posizione del terzo polo, interpretata dalla deputata di Italia viva, Silvia Fregolent, che rinfaccia al centrodestra e al M5s che le misure «sarebbero state già varate e integrate dal passaggio parlamentare se quelle stesse forze politiche che oggi chiedono aiuti per le bollette non avessero fatto cadere il governo Draghi». Non proprio la concordia necessaria di fronte alla richiesta di interventi da parte di imprese e famiglie, visto che come ribadito da una ricerca delle Associazioni europee di professionisti e imprese (Aepi) sono in bilico 150mila attività produttive con circa 350mila posti di lavoro che potrebbero saltare a stretto giro. Il presidente di Aepi, Mino Dinoi, ha ricordato una situazione ben nota: «Il tessuto produttivo non può più aspettare».

Timori a palazzo Chigi

Il dibattito politico, però, torna al punto di partenza, con un confronto che guarda ancora al passato: il paese chiede risposte sul caro bollette, ma nei fatti non è cambiato ancora nulla. Anzi, in questa partita a scacchi si rischia davvero di arrivare all’imponderabile: la mancata conversione del decreto Aiuti bis, che trascinerebbe a catena lo stop al nuovo provvedimento.

Palazzo Chigi fa un po’ di tattica per premere sui partiti, parlando di allarme, e arrivare alla meta senza ulteriori tensioni. Ma la preoccupazione che possa saltare il banco, quindi far decadere il decreto, inizia a essere meno fantascientifica, perché l’approvazione di norme senza coperture vanificherebbe il via libera al testo.

C’è poi anche una questione relativa al tempo, che comincia a essere sempre più stretto: se il via libera non arriva nella prossima settimana, così come previsto, si slitterebbe a quella successiva, a poche ore dal voto. In un clima tutt’altro che tranquillizzante e conciliante. Per questo, dietro i toni accesi della campagna elettorale, si sta lavorando a una mediazione.

Nella giornata di ieri, il governo è arrivato alla riformulazione di circa una cinquantina di emendamenti per trovare un’intesa in grado di soddisfare tutti.

L’obiettivo è quello di non arrivare in aula al Senato con tutti gli emendamenti da votare senza accordo: con il “liberi tutti”, molti parlamentari uscenti potrebbero non rispondere agli ordini dei gruppi. Lo sforzo di ricucitura andrà avanti per tutta la giornata di oggi per terminare entro domani. Sul tavolo resta il nodo del Superbonus, che al momento sembra difficile da sciogliere.

© Riproduzione riservata

© Riproduzione riservata