Le porte dell’aula del Senato si sono chiuse alle 15.30, dopo un dibattito durato tutta la mattina. Il risultato formale, però, non rispecchia il clima da resa dei conti che si respira a palazzo Madama: il governo ha ottenuto la fiducia sul decreto Aiuti con 172 voti favorevoli, 39 contrari e nessun astenuto.

Come previsto, nessuno dei 61 senatori del Movimento ha votato ma la scelta del gruppo è stata quella di rimanere in aula, senza rispondere alla chiama. Secondo il regolamento del Senato, questa modalità di non voto non significa nulla e gli assenti non vengono conteggiati nel voto. Politicamente, invece, i grillini hanno spiegato di voler dare la dimostrazione anche plastica di non stare abbandonando il governo.

Anzi, nella dichiarazione di voto la senatrice Mariolina Castellone, capogruppo M5s al Senato, ha spiegato che «non partecipiamo al voto perché non condividiamo alcuni punti del provvedimento ma questa nostra posizione si sottrae alla logica della fiducia al Governo. Chi vuole sovrapporre i piani vuole solo strumentalizzare».

Tradotto: il Movimento sarebbe pronto a votare la fiducia al governo, di cui tutt’ora fanno parte i suoi ministri, e non intende chiedere il ritorno al voto. Prima di arrivare a questo finale, che mette a dura prova la prassi parlamentare, il Senato è stato il teatro prima di un tentativo in extremis di evitare il voto di fiducia, portato avanti proprio dal ministro M5s per i Rapporti col parlamento, Federico D’Incà e subito stoppato da palazzo Chigi, che non ha voluto arretrare dalle posizioni della Camera; poi di un duro dibattito d’aula che ha visto soprattutto lo scontro tra Forza Italia e il Movimento.

Per provare a scongiurare la crisi è intervenuto il leader di Italia viva, Matteo Renzi, che si è rivolto direttamente al premier Draghi, chiedendogli responsabilità: «Nulla giustifica una crisi di governo, bisogna andare avanti perché serve all’Italia». Parallelamente, tutti i senatori avevano gli occhi puntati sulle agenzie, per sapere quando – non se – il presidente del Consiglio sarebbe salito al Colle: la risposta è arrivata prima di pranzo, con l’orologio puntato alle 15.30, alla conclusione del voto di fiducia.

Lega e Forza Italia

La giornata è stata un susseguirsi di riunioni riservate dei gruppi parlamentari e di capannelli, tanto che l’inizio della discussione si è svolto in un’aula semideserta. Se l’esito del voto era noto – fiducia raggiunta, ma con lo strappo dei grillini – le conseguenze prodotte sono rimaste incerte.

La maggiore cautela si è registrata nel centrodestra: Lega e Forza Italia si sono perfettamente allineate, senza dichiarazioni pubbliche sparse ma con un ritorno in campo a distanza di Silvio Berlusconi, che ha gestito la linea attendista. «Noi continueremo a essere coerenti», ha detto la capogruppo Anna Maria Bernini, che ha attaccato duramente i Cinque stelle nel suo intervento per confermare la fiducia di FI al decreto, «ma è evidente che se qualcuno non voterà la fiducia, oggi nascerà una nuova maggioranza di governo».

Poi, nel caso di imprevisti che non permettano a Draghi di andare avanti, nonostante il presidente Sergio Mattarella lo abbia rimandato alle camere sapendo che i numeri al momento ci sono, «noi non abbiamo paura delle elezioni», ha concluso Berlusconi in una nota. Del resto, «Draghi ha ottenuto la fiducia del parlamento, anche senza i Cinque stelle. Sta a lui prenderne atto e scegliere se proseguire il lavoro. In ogni caso noi siamo pronti», sintetizza il senatore Maurizio Gasparri.

La Lega, invece, ha preferito tenere un profilo più basso: dichiarazione di voto favorevole alla fiducia e richiesta al governo di occuparsi del taglio al cuneo fiscale e di misure di aiuto a famiglie e imprese, ma pronunciata dal senatore Paolo Tosato invece che dal capogruppo o dal leader, Matteo Salvini. Dentro al partito di via Bellerio prevale l’attesa: impensabile rimanere al governo solo con il Pd, l’imperativo però è che la responsabilità della crisi sia tutta dei Cinque stelle. Se il governo durasse ancora qualche mese - come preferirebbero i governatori leghisti del nord - l’aspettativa è di guadagnare nuovo spazio di manovra sui provvedimenti che attendono la maggioranza. «Aspettiamo quello che vorrà fare il presidente Draghi, ma non possiamo accettare che il parlamento sia bloccato», è la conclusione del vicesegretario Lorenzo Fontana.

Il Pd

La giornata parlamentare ha invece lasciato frastornato il Partito democratico. Fino all’ultimo il segretario, Enrico Letta, ha provato a dissuadere Conte dal proposito del non voto, ma senza esito. Per questo, in aula i dem non hanno potuto fare altro che prendere atto della linea del Movimento, confermando la loro fiducia all’esecutivo.

Il senatore Antonio Misiani ha detto che la scelta dei grillini di «non votare oggi la fiducia è grave e un oggettivo errore politico, perché interrompe questo percorso e ha inevitabili conseguenze politiche». Tra le conseguenze, ci sarebbe anche il definitivo tramonto dell’alleanza strutturale con il Movimento. Alla fine della discussione d’aula, la speranza dei senatori è tutta risposta nel Quirinale.

Quando il premier tornerà in parlamento per chiedere il voto di fiducia, probabilmente mercoledì, «prenderà atto che la sua maggioranza non è cambiata. I Cinque stelle, infatti, hanno confermato che non hanno votato questo provvedimento ma voterebbero la fiducia al governo» è il ragionamento di un senatore vicino alla segreteria di Letta, che però non nasconde la difficoltà della situazione.

«Non possiamo nemmeno far finta che i grillini abbiano scherzato, con questo non voto», aggiunge. Tuttavia, lo spiraglio di distensione viene colto dai senatori col silenzio del Nazareno: dalla segreteria, infatti, non è arrivato il canonico messaggio ai parlamentari di fermarsi a Roma, che normalmente precede ogni crisi.

Fratelli d’Italia

Il partito di Giorgia Meloni, infine, si è goduto lo spettacolo d’aula e lo scontro interno alla maggioranza di governo. La presidente di Fratelli d’Italia si è limitata a chiedere «il voto subito», come ha fatto in aula anche il senatore Andrea de Bertoldi: «Non si sta facendo l'interesse del Paese ma quello di Bruxelles. Abbiamo bisogno di un governo che dia risposte». Tra i senatori prevalgono i sorrisi: «Ogni giorno in più di un governo così instabile aumenta i consensi di FdI», gongola un senatore poco prima che si apra ufficialmente la crisi di governo.

 

 

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