Il vicepremier firma il provvedimento ma annuncia subito cambi radicali su stop al diesel e finanziamenti alle strade provinciali. Pioggia di emendamenti leghisti per modificare ampie parti del decreto
C’è il Matteo Salvini che approva i decreti del governo e con una mano toglie i fondi agli enti locali per le strade, e c’è il Matteo Salvini, leader della Lega, che annuncia il ripristino dei 350 milioni di euro alle province.
Il decreto Infrastrutture è la perfetta fotografia della doppia veste del vicepremier: di Lega e di governo.
In base contesto, se si trova nel Consiglio dei ministri diventa governativo, se presiede il Consiglio federale del partito, si trasforma in capopopolo leghista. E il partito lo segue. Non a caso è andato all’assalto del provvedimento per stanziare risorse da destinare a strade e strutture dei territori più cari.
Cambio decreto
Un fatto è certo. Il vicepremier ha fatto varare il provvedimento sulle infrastrutture appena poche settimane fa, apponendoci la firma e mettendoci la faccia. Ma attraverso i deputati è pronto a modificare lo stesso decreto in punti tutt’altro che secondari.
Un’operazione per interposti parlamentari, che di sottecchi lascia intendere quale manina abbia ispirato la pattuglia leghista.
Su un punto Salvini ha però fatto prevalere l’approccio più istituzionale. Sui controlli anti-criminalità, per gli appalti relativi alla costruzione del ponte sullo Stretto, non ci sarà alcuna sfida al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Il Quirinale aveva eliminato un passaggio del decreto che modificava la modalità delle verifiche sulla regolarità. Salvini aveva reagito promettendo un emendamento per modificare di nuovo la norma. Alla fine ha lasciato la questione nelle mani del Viminale di Matteo Piantedosi.
Nel faldone di emendamenti al decreto Infrastrutture, comunque, i leghisti non si sono risparmiati. In cima c’è il testo, ispirato da Salvini, per far slittare il divieto di circolazione dei veicoli diesel Euro 5 dal prossimo autunno nell’area della pianura padana.
Quindi in Emilia-Romagna e Piemonte, ma soprattutto Lombardia e Veneto, cuore pulsante del primo leghismo. Il proponente è il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, che dà maggiore peso alla proposta. Il progetto è di posticipare tutto all’autunno 2026, dando la possibilità alle regioni interessate di anticipare o ritardare ancora di più lo stop.
Qui si innesca un cortocircuito: la norma che introduce il divieto era stata firmata dal governo Meloni nel settembre 2023. Una misura che il Salvini di governo aveva accettato, ma che nella versione da leader leghista è pronto a rinviare. Con l’obiettivo, nemmeno tanto segreto, di cancellare la norma.
Il secondo cortocircuito è l’intrusione nelle decisioni regionali, sebbene la formulazione dell’emendamento lasci un margine di manovra alle giunte regionali.
Nel decreto Infrastrutture, poi, la Lega vuole introdurre il censimento degli autovelox, vecchio pallino salviniano. Solo che il ministro e vicepremier non ha infilato la norma all’interno del provvedimento, che pure è corposo e variegato, preferendo ricorrere alla longa manus dei suoi fedelissimi. In questo caso l’emendamento è proposto dalla deputata Elena Maccanti.
La formulazione, ancora una volta, accentra i poteri a discapito dei comuni. Le amministrazioni devono comunicare al ministero di Salvini la presenza delle apparecchiature che controllano il rispetto dei limiti di velocità, altrimenti non sono validi per le multe.
Solo che i tempi si annunciano lunghi: spetta al Mit definire le modalità di trasmissione delle informazioni, attraverso un decreto attuativo da emanare entro un mese dall’approvazione della misura. Insomma, tutto scivola a dopo l’estate. Lasciando trasparire l’obiettivo sotteso del leader della Lega: dilatare a dismisura i tempi del progetto.
Ma non solo. C’è la il tema dei finanziamenti alle province per la manutenzione delle reti viarie. La promessa è di mettere sul tavolo 350 milioni di euro, probabilmente con un successivo emendamento del governo o dei relatori. Salvini ha promesso: «Il testo sarà inserito nel primo provvedimento utile». Il decreto Infrastrutture ha tutti i crismi per essere lo strumento adatto per rispondere all’esigenza.
Mancette ai territori
L’esame a Montecitorio ha scatenato gli appetiti dei deputati leghisti. Fioccano infatti proposte per accontentare il proprio collegio, magari nell’auspicio di un occhio benevolo del governo, trattandosi di un provvedimento made in Salvini.
Il capogruppo Molinari chiede interventi straordinari per la realizzazione del polo logistico Alessandria smistamento.
Nell’emendamento chiede di istituire la figura del commissario con una struttura che costerebbe 2,5 milioni di euro in tre anni. Ma c’è chi chiede un impegno maggiore di risorse.
È il caso di Paolo Formentini che ha presentato una proposta per dare 20 milioni di euro per il «completamento del raccordo autostradale A4-Valtrompia». Un drappello di leghisti, guidati da Gianangelo Bof, punta ad assegnare 417mila euro all’Agenzia Interregionale per il fiume Po per la ciclovia VenTo, che collega Venezia e Torino.
Mentre Laura Cavandoli vuole 5 milioni di euro per l’asse autostradale Ti-Bre, ossia Tirreno-Brennero e Gianpiero Zinzi pensa di stanziare 4 milioni di euro per il raddoppio della tangenziale di Caserta, ovviamente sua provincia di elezione.
Per una Lega che torna di lotta, almeno in sede di emendamento.
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