«Un altro vocabolario della giustizia deve essere possibile», mentre il governo sfodera nuovi reati e pacchetti sicurezza trasformando tutto in emergenza giudiziaria, Michela Di Biase, deputata Pd indica la via di uscita in occasione del convegno "Parole della giustizia" organizzato dalla sua associazione F.A.R.E. (Femminista, Ambientalista, Radicale ed Europeista).

«C’è la necessità di guardare al reato come ad un evento relazionale, che coinvolge aggressore, vittima e collettività. In questa nuova visione l’illecito non è più unicamente un illecito da punire, ma va considerato come un accadimento complesso che ha luogo tra persone e il gesto riparativo è possibile solo nell’economia di una relazione che è disponibile ad accoglierlo», dichiara la dem Di Biase prima di introdurre il dialogo sulla giustizia riparativa tra Agnese Moro, figlia dello statista Moro, ucciso dalle Br nel 1978, e l’ex terrorista coinvolta nel sequestro, Adriana Faranda.

Il dibattito è stato moderato da Adolfo Ceretti, criminologo di fama mondiale che ha introdotto in Italia una disciplina che, come dirà Agnese Moro «riesce a occuparsi dell’irreparabile».

Onorevole nel suo intervento si è chiesta: «è possibile costruire una giustizia che sia emendata dalla crudeltà? È concepibile un sistema penale che non ricorra unicamente alla forza coercitiva?». Le rigiro la domanda. È possibile?

«Viviamo un tempo in cui serve cambiare il paradigma: da una giustizia verticale bisogna arrivare a una giustizia orizzontale, dell’incontro e del riconoscimento reciproco. La giustizia riparativa prevede che ci siano tanto la persona offesa, quanto gli autori dell’offesa alla presenza di un terzo che media questo conflitto. È un percorso lungo e difficile. Anche se le pene sono state espiate».

Il Governo sta percorrendo questa strada?

«Monitoriamo affinché si continui il lungo il percorso tracciato dalla riforma Cartabia. Bisogna investire risorse sul tema e continuare su quello che è la creazione dei centri che sono previsti dalla riforma, presenti su tutto il territorio nazionale. Il governo può fare molto stanziando risorse adeguate anche per avere centri operativi di formazione. Poi c’è il grande tema delle misure alternative »

A questo proposito, lei è componente della commissione giustizia. Meloni ha discusso a porte chiuse un vertice sul potenziamento del sistema penitenziario, con l’obiettivo di realizzare settemila nuovi posti.

«Un approccio sbagliato. Noi di questo fantomatico piano carceri non abbiamo visto nulla di concreto se non la nomina di un commissario. Sono due anni e mezzo che questo governo è in carica e registriamo una situazione esplosiva all’interno delle carceri. Parliamo di un detenuto suicida ogni quattro giorni. Siamo davanti a un’emergenza gravissima».

Ci sarebbero poi anche i vari decreti sicurezza approvati dal governo.

«Sono stata di recente all’Istituto penale minorile Casal del Marmo e registriamo un sovraffollamento anche lì. Una crescita anche negli istituti penali minorili. Il carcere deve rappresentare l’ultima opzione e mentre il decreto Caivano ci mette di fronte a un incremento delle entrate dei ragazzi, allo stesso tempo viene smantellato il fondo della povertà educativa che in alcuni contesti è fondamentale. Rispetto a questa destra abbiamo una diversità di approccio. Per il governo tutto viene declinato con repressione, aumento delle pene. Ma non è mai un deterrente per non commettere nuovi reati. E non è con la costruzione di nuovi edifici penitenziari che risolveremo il problema del sovraffollamento carcerario. Se crei un reato a settimana non ti basteranno mai. Dovremmo spingere le misure alternative che sarebbe qualcosa che aiuterebbe a essere alleggeriti rispetto a un carico di presenze del 160 per cento».

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