La permanenza di Giuseppe Conte al vertice del Movimento 5 stelle potrebbe rivelarsi più complicata (e breve) del previsto. Il partito sembrava aver appena ritrovato il suo equilibrio con la sofferta incoronazione dell’ex presidente del Consiglio come nuovo leader dei Cinque stelle, ma l’autunno è pieno di insidie che rendono rischioso il percorso di Conte. Chi non fa niente per togliere di mezzo gli ostacoli sul suo cammino è il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, la figura più ingombrante del Movimento accanto a Conte.

Il leader sta faticando sulle amministrative, appare incerto sul reddito di cittadinanza, soffre nei sondaggi e non riesce a dettare la linea sulla partita del Quirinale. E di fronte alle sue fatiche, Di Maio non lo affianca, non lo difende e aspetta che la tempesta passi, lasciando il suo rivale a terra. Per ora gli basta aspettare, può assistere all’autodistruzione del leader appena eletto dalla comoda posizione alla Farnesina, dove coltiva l’immagine del Movimento competente e tesse rapporti utili, soprattutto con palazzo Chigi.

Per il momento Conte è ancora considerato il salvatore del Movimento e nessuno vuole dar conto pubblicamente dei malumori, ma Di Maio può contare sul fatto che il vento girerà. Intanto, per rassicurare l’elettorato, il ministro dovrebbe a breve lanciare un tour elettorale. Non coprirà le stesse tappe che sta visitando il presidente, ma il messaggio è chiaro: non è mai sparito dalla scena e ha intenzione di restarci.

Rischio amministrative

Anzi, secondo fonti parlamentari, Di Maio vorrebbe iniziare fare un bilancio della linea Conte già dopo le amministrative. Anche i Cinque stelle più critici nei confronti dell’ex premier gli concedono che stavolta il probabile fallimento del M5s al voto non è tutto da imputare al neoleader, arrivato a liste praticamente già chiuse e con pochi giorni da dedicare alla campagna elettorale. La strategia che doveva ampliare l’elettorato del Movimento verso nuove categorie, soprattutto al nord, si è però già rivelata fallimentare: il lancio della campagna oltre il Po non ha dato i frutti sperati, soprattutto a Milano, dove il candidato del Pd, Beppe Sala, ha rifiutato cordialmente un apparentamento coi Cinque stelle al primo turno. Non ha aiutato la lettera scritta da Conte al Corriere della Sera, nella quale è risultato poco convincente e impreciso.

Date le circostanze, la soglia che determina il successo del Movimento alle amministrative coincide ormai con l’obiettivo di arrivare primi alle elezioni di Napoli. L’ostacolo non è insormontabile: due anni fa, alle europee, il M5s aveva sfiorato il 40 per cento.

Quella per il capoluogo campano è la corsa su cui l’ex premier punta di più, anche se in un tour che raccoglie 4-5 tappe al giorno sta cercando di farsi vedere anche nel resto del paese. Ma nella campagna colpisce la disaffezione di deputati e senatori, che non appaiono totalmente convinti della strategia del leader. Ovviamente una parola di Di Maio potrebbe cambiare la situazione, ma l’inquilino della Farnesina se ne guarda bene.

Struttura interna

A diverse settimane dall’insediamento, poi, i gruppi non hanno ancora avuto nessuna notizia sulla nuova struttura interna del Movimento, un’ulteriore ragione di scontento su cui i maggiorenti potrebbero mediare, ma attualmente nessuno ha interesse da esporsi in tal senso, men che meno Di Maio.

Le nomine del leader erano attese a stretto giro dalla sua incoronazione, ma ancora non sono filtrate decisioni né date in cui potrebbero esserci notizie. Nonostante ciò, diversi parlamentari hanno già ricevuto messaggi di avvertimento per quanto riguarda i versamenti al partito. Chi non è in regola con i contributi rischia imprecisate ripercussioni in termini di visibilità.

Lo scontento dei gruppi per il momento non precipita in un’opposizione concreta: si vuole ancora dare il beneficio del dubbio a un leader appena arrivato dopo un faticoso passaggio di consegne. Ma soprattutto, senza la certezza che la legislatura duri fino al 2023 e dopo il taglio dei parlamentari, tutti vogliono rimanere in buoni rapporti con chi compilerà le prossime liste elettorali.

Le modifiche al reddito

Di Maio, che non è disposto a lasciar decidere Conte del suo destino, sa bene che oltre al voto di ottobre il leader rischia grosso anche sul reddito di cittadinanza. I Cinque stelle sono quotidianamente attaccati su questo fronte, ma il leader si limita a divincolarsi dalle accuse con timide aperture a imprecisate modifiche. In realtà sulla sua scrivania è pronto un documento redatto dai parlamentari che raccoglie le idee per migliorare la misura di bandiera del Movimento e, una volta superato il voto, Conte prenderà spunto da lì per confrontarsi con le proposte di modifica del Comitato scientifico dedicato del ministero del Lavoro.

Ora però, per non perdere consensi nelle zone in cui il reddito è stato un catalizzatore di voti, Conte non si può esporre e si perde in una disordinata difesa della norma.

Si è poi aggiunta giusto lunedì sera un’ulteriore complicazione al lavoro dell’avvocato: Lorenzo Borrè, il legale che da anni segue le cause degli espulsi dal Movimento, ha presentato insieme a una serie di attivisti un ricorso contro l’elezione di Conte. Oltre ad altre irregolarità, contestano al leader di non essere iscritto a Rousseau al momento del voto e quindi non esser stato eleggibile. Pur non godendo delle simpatie di espulsi ed ex, Di Maio è un iscritto della prima ora e non deve temere nessuna obiezione legale al suo ruolo.

A offuscare ulteriormente la stella di Conte ci sono i sondaggi, che per il Movimento continuano a muoversi intorno al 15 per cento. Il partito non ha ottenuto dalla presenza del leader lo sprint che ci si attendeva, almeno per ora. «Ancora è presto per dirlo, ma se si mettono in fila tutte queste questioni il gradimento di Conte potrebbe precipitare, soprattutto tra i parlamentari», ragiona un deputato lombardo.

Nel migliore dei casi, il presidente arriverebbe parecchio logorato alla partita per la presidenza della repubblica a febbraio, su cui non ha ancora detto una parola né ha coinvolto il Movimento, mentre Di Maio ha già iniziato a fare trattative per conto suo.

Gli interessi dei due non convergono: Conte spera che si vada al voto presto, mentre Di Maio vorrebbe arrivare alla scadenza naturale della legislatura con Mario Draghi a palazzo Chigi.

Potrebbe essere quindi febbraio il momento in cui le tensioni accumulate si scaricheranno sul partito.

© Riproduzione riservata