La raccolta firme dura diverse ore. I deputati salgono e scendono dal secondo piano di palazzo Montecitorio, sede della Camera, per dare il proprio consenso alla nascita di un nuovo gruppo parlamentare. Si chiamerà “Insieme per il futuro” e sarà guidato da un volto storico del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio.

L’attuale ministro degli Esteri lascia il partito che ha contribuito a far crescere nelle aule del parlamento, fin dal 2013 quando da giovane eletto è stato scelto come vicepresidente della Camera in quota M5s, e poi dal 2017 al 2020 come capo politico. Martedì sera è stata ufficializzata la prima grande scissione del Movimento creato da Beppe Grillo.

Oltre cinquanta parlamentari tra Camera e Senato hanno deciso di seguire Di Maio nella nuova compagine. Sono il suo zoccolo duro, ma il numero è destinato a crescere tra indecisi del Movimento stesso e qualche parlamentare spurio, che momentaneamente si è collocato nel gruppo Misto.

La mossa salva-governo

La frattura è insanabile e trova le sue radici nel rapporto controverso tra l’ex capo politico e l’attuale presidente Giuseppe Conte. Di Maio ha scelto di andarsene martedì, non in un giorno qualunque, ma in concomitanza del voto al Senato della risoluzione riferita alle comunicazioni di Mario Draghi sulla guerra in Ucraina.

Una mossa per mettere in sicurezza l’attuale governo e, secondo fonti interne, discussa in anticipo anche con il presidente del Consiglio. Da settimane si facevano sempre più insistenti le voci che davano il Movimento fuori da governo tra giugno e settembre, magari rompendo sul tema della guerra, un’operazione pensata da Conte per racimolare qualche voto tra l’anima pacifista del paese.

L’occasione per cercare l’incidente poteva essere proprio quella di martedì al Senato, con i Cinque stelle che da settimane chiedevano un voto per impedire al governo di inviare, tramite un automatismo legislativo, le armi al paese invaso. La mossa di Di Maio ha disinnescato tutto. Mentre deputati e senatori solidali con il ministro firmavano l’entrata nel nuovo gruppo, il Movimento si è accontentato di un accordo sul testo che gli ha lasciato poco o nulla in mano rispetto alle richieste iniziali. Di ora in ora le rivendicazioni si sono assopite.

Gli ex Cinque stelle appoggeranno Draghi, garantendo una vita più lunga al governo con oltre cinquanta voti sicuri, altri potrebbero arrivare con il tempo.

Poltrone pesanti

Di Maio toglie a Conte cariche importanti di governo: la sua, da ministro degli Esteri, e quella di quattro sottosegretari: Laura Castelli all’Economia, Anna Macina alla Giustizia, Dalila Nesci al Sud e Manlio Di Stefano agli Esteri lasceranno i Cinque stelle.

Così come Francesco D’Uva, questore della Camera, una carica importante quando si tratta di discutere le regole interne del parlamento. Castelli, e lo stesso Di Maio, per quattro anni hanno stretto relazioni importantissime nell’esecutivo e fuori, che tolgono dalle mani di Conte. Se ne va dal Movimento anche il presidente della commissione Politiche europee della Camera, Sergio Battelli, e quello della commissione Agricoltura Filippo Gallinella.

A Conte rimane ben poco: due ministeri, l’agricoltura e le politiche giovanili, e il partito di Conte stesso, svuotato di tanti parlamentari di lunga data. La scelta del giorno non è casuale anche per un altro motivo. Stasera dovrebbe riunirsi l’assemblea del Movimento, Di Maio avrebbe potuto essere messo alla gogna. Per giorni gli sono state contestate le critiche che ha rivolto ai risultati delle elezioni comunali, molto scadenti, e le posizioni ambigue di politica estera tenute da Conte.

Ma, per ovvie ragioni, Di Maio non sarà presente. Il minsitro si libera anche del vincolo del secondo mandato: con un gruppo autonomo, se avrà l’ambizione di presentarsi da solo alle elezioni, potrà candidarsi per la terza volta. Sia lui sia tanti suoi fedelissimi che sono già per la seconda volta in parlamento.

Il simbolo

Alla Camera, i sostenitori del ministro sarebbero oltre trenta. Al Senato, invece, quasi venti, ma il numero è destinato a superare la soglia dei cinquanta.

Le regole del parlamento freneranno le ambizioni dei parlamentari al Senato. Per costituire un gruppo singolo, con possibilità di eleggere un capogruppo e avere un proprio capitolo di spesa, occorre che si mettano insieme almeno venti deputati alla Camera e dieci al Senato.

In quest’ultima ala del parlamento, però, vige una regola speciale: l’Ufficio di presidenza, l’organo che si occupa delle questioni politico-amministrative, può autorizzare la costituzione di un gruppo purché questo rappresenti un partito che abbia presentato il proprio simbolo alle ultime elezioni politiche. Ma Di Maio non può utilizzare quello del Movimento.

Il collegamento del gruppo a un simbolo di partito, quindi, impedirà agli eletti vicini a Di Maio di costituire un gruppo ad hoc. Rimane comunque un’altra possibilità, ovvero riunirsi in una componente nel gruppo Misto, una specie di sotto gruppo in quello più ampio del “misto”, chiamandola Insieme per il futuro.

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