Di Maio ad Atreju: l’ex ministro agita le acque centriste

Non è la prima volta che va. E, verosimilmente, non sarà neanche l’ultima. L’ultima partecipazione di Luigi Di Maio ad Atreju, la festa dei meloniani, risale al 2021. Erano i tempi del governo Draghi e l’allora ministro degli Esteri spiegava che Giorgia Meloni era «più affidabile» di Matteo Salvini. Nel programma di quest’anno Di Maio compare con il suo ruolo di rappresentante speciale dell’Unione europea per la regione del Golfo. Ruolo tecnico, premessa che ha sempre caratterizzato anche le sue altre, poche, apparizioni pubbliche. Ma la sua presenza nel palinsesto dell’evento FdI incrociata con la scadenza del suo incarico a marzo 2027 ha messo in moto i cacciatori di retroscena. Tanto più che l’invito – che, giurano da FdI, è nato senza ispirazioni «dall’alto» – può essere letto in maniera molto politica. Si parlerà infatti dell’«opportunità storica per l’Italia» che rappresenta la Via del Cotone, il nuovo progetto economico-politico che unirà il subcontinente indiano al nostro paese attraverso la penisola arabica, in contrapposizione alla Via della Seta, progetto del cuore del governo Conte I e, in parte, del Conte II. «Quando lo chiamavano “Luigi Di Mao”» scherza un parlamentare meloniano. Insomma, è il ragionamento, se perfino uno dei principali sostenitori del progetto di Pechino riconosce la bontà del nuovo corso che guarda a Delhi, tanto di guadagnato. Atreju diventa mainstream: ecco il Partito della nazione Provocazione e realtà Ma, a parlare con chi ha avuto modo di confrontarsi con l’inviato speciale, l’invito non implica automaticamente un suo ritorno nell’agone. Le opzioni che si aprono accanto al rinnovo dell’incarico, oltre alla politica, sarebbero parecchie. Anche nel settore privato. Certo, il palco con cui Di Maio si collegherà venerdì 12 è tutt’altro che ostile all’ex ministro. Ci saranno il presidente dem del Copasir Lorenzo Guerini, il presidente della Fondazione Med-Or Marco Minniti (un altro ex ministro, Pd), introdurrà Salvatore Caiata, che prima di diventare un parlamentare di FdI era del Movimento 5 stelle. Ci sarà anche Abdulla Ali Al Subousi, ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti. Un paese che rappresenta un tassello importante nella strategia di politica estera di Meloni, che sta giusto tornando dal suo viaggio in Bahrein. Sulla trasferta è intervenuto anche Di Maio stesso con una nota, in cui ha definito l’invito alla premier a partecipare al vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo, «un riconoscimento storico senza precedenti per l’Italia ma anche per l’Unione europea». Per il resto, come ha detto anche al Riformista, a Di Maio la politica e «lo stato di pressione costante» che comporta non mancherebbero. Il lavoro nel Golfo starebbe portando i primi risultati, è la valutazione di chi sta seguendo gli sforzi dell’ex ministro, dopo che c’è stato bisogno di tempo per oliare alcuni ingranaggi. Certo, riferiscono i soliti bene informati, Di Maio non esclude niente per il suo futuro. Anche se, è la loro interpretazione, la suggestione che l’ex enfant prodige del Movimento possa tornare a giocare un ruolo attivo nella politica italiana serve più ad agitare le acque del centro che a lanciare un’ambizione tangibile. Ma lo spazio in quell’area c’è e ne sono consapevoli anche i fedelissimi che hanno seguito – con poca fortuna – Di Maio nel suo Impegno civico, avventura centrista che però, alle elezioni del 2022, ha raccolto appena lo 0,6 per cento dei voti. In quest’area «affollata e conflittuale», come la descrive un uomo dell’ex ministro, i punti fermi sono due: Carlo Calenda, che continua ad andare per la sua strada non aderendo a nessuna coalizione (almeno per il momento) e, all’interno delle coalizioni, Forza Italia, data per finita dopo la morte di Silvio Berlusconi e rifiorita in contrapposizione a Lega e FdI. E l’esperimento di Ernesto Maria Ruffini, su cui pure avrebbe un certo ascendente l’ex collega al governo di Di Maio, Vincenzo Spadafora? «Potrebbe avere un futuro negli uninominali, ma si sovrappone troppo all’elettorato di Matteo Renzi, che è partito prima», spiega un altro ex Cinque stelle. I riferimenti cartesiani del mondo dimaiano, invece sarebbero ancora gli stessi del 2022. Chi ha avuto occasione di sentirlo nei mesi scorsi riferisce di una stima sempre grande per Mario Draghi, che è stato “suo” presidente del Consiglio e che l’ha introdotto alle sfere di potere non strettamente collegate alla politica. «Ha sposato la sua idea del mondo» raccontano i suoi. Nelle conversazioni dell’ex ministro a volte fanno capolino altri centristi «affidabili» come Dario Franceschini e Antonio Tajani, ma la consapevolezza è di trovarsi in un limbo: troppo ingombrante per i grandi partiti – con i cui leader pure è generalmente in buoni rapporti, con l’ovvia eccezione di Conte – è ambito dalle piccole formazioni che stanno sgomitando per imporsi soprattutto al centro. Ma quel film, a Doha, l’hanno già visto con Impegno civico. E per adesso, la politica è solo una delle opzioni.