Conclusa con l’espulsione la pratica dell’ormai ex magistrato Luca Palamara, sulla scrivania della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura sono allineati altri sei fascicoli. Uno dei quali rischia di scuotere non solo palazzo dei Marescialli, ma anche Montecitorio.

Al dopocena che è costato la toga a Palamara, durante il quale si tentava di indirizzare la scelta del nuovo procuratore capo di Roma, c’erano anche altri coinvitati: i cinque togati del Csm il cui procedimento disciplinare riprenderà la prossima settimana. Ma soprattutto il deputato di Italia Viva Cosimo Ferri, a sua volta magistrato e all’epoca ancora eminenza grigia della corrente Magistratura indipendente, arrivato con Luca Lotti. Proprio il suo procedimento disciplinare è il più spinoso, perché ha investito la giunta per le autorizzazioni della Camera.

Il nodo intercettazioni

L’accusa che il Csm muove a Ferri è quella di «un uso strumentale della propria qualità e posizione, diretto, per le modalità di realizzazione, a condizionare l’esercizio di funzioni costituzionalmente previste del Csm». La prova in mano alla procura generale, però, sono le intercettazioni del dopocena all’hotel Champagne ottenute grazie al Trojan nel cellulare di Palamara.

La questione della loro utilizzabilità è complessa: Cosimo Ferri è un parlamentare, quindi non è intercettabile senza che prima ci sia stata l’autorizzazione della camera di appartenenza. Invece lui è stato intercettato indirettamente attraverso Palamara.

Se gli inquirenti che hanno piazzato il Trojan avessero saputo della presenza di un deputato all’incontro con Palamara, però, avrebbero avuto per legge l’obbligo di spegnere il captatore informatico.

La procura di Perugia ha giustificato il mancato spegnimento sostenendo che l’intercettazione di Ferri sia stata casuale: la polizia giudiziaria non era materialmente in ascolto la sera del 9 maggio, né durante le telefonate per organizzare il dopocena.

Dunque la presenza di Ferri è stata scoperta solo dopo che le conversazioni erano state registrate e la sua voce identificata. La valutazione su questa circostanza è centrale, perché le intercettazioni sono l’unico capitolo di prova e, se risultassero inutilizzabili, cadrebbe l’intero procedimento contro Ferri, che ha anche ricusato l’intero collegio chiamato a giudicarlo.

La commissione disciplinare del Csm ha investito della questione la giunta per le autorizzazioni della Camera, che deve valutare se le intercettazioni erano effettivamente casuali e dunque sono utilizzabili, oppure sono illegittime perché disposte senza la previa autorizzazione della giunta stessa.

Poi, la decisione finale verrà votata a Montecitorio. La prossima riunione della giunta si terrà mercoledì 14 ottobre ma il “fascicolo Ferri” non è all’ordine del giorno. Eppure, l’orientamento sembrerebbe quello di affrontare il tema entro la fine di ottobre. E il rischio è che possa assumere dimensioni politiche tali da creare qualche grattacapo alla maggioranza di governo.

La questione politica

All’interno di Italia viva, che è il partito di Ferri, la questione non è ancora stata affrontata in modo formale. Eppure il tema è attenzionato.

L’ottica è quella di non trasformare la decisione in una questione politica, ma esiste anche un solido orientamento sul fatto che le intercettazioni non siano state casuali e dunque la giunta debba esprimersi negativamente.

Tuttavia, non sarà facile sostenere politicamente questa linea. Nelle orecchie di molti, infatti, risuonano le parole che Matteo Renzi pronunciò nel 2013, quando chiese le dimissioni della ministra Annamaria Cancellieri, non indagata, dopo la pubblicazione di intercettazioni indirette in cui parlava con la famiglia Ligresti, all’epoca al centro di un procedimento giudiziario.

Anche nel Pd il tema è considerato delicato, ma la mancanza di un voto impellente lo ha tenuto sotto traccia.

La valutazione è che la questione sia giuridicamente più complessa di una semplice valutazione sulla casualità o meno delle intercettazioni. Per Ferri, infatti, il caso concreto non è quello di un giudice che, nel corso di un’indagine penale, avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione a intercettare un deputato e non lo ha fatto, dunque la giunta è chiamata a valutare se le intercettazioni siano casuali o meno.

Ferri non è indagato, ma solo sottoposto a procedimento disciplinare. Dunque la giunta dovrebbe interrogarsi su questo: se ci fosse stata richiesta di intercettare Ferri, sempre via cellulare di Palamara, ma solo all’interno di un procedimento disciplinare, la giunta avrebbe detto di sì?

La questione rischia di avere anche un ulteriore risvolto politico: Cosimo Ferri è un deputato potente nella maggioranza e votare per l’utilizzabilità delle intercettazioni contro di lui lo esporrebbe a una condanna disciplinare quasi certa, soprattutto dopo la radiazione di Palamara.

Dunque la maggioranza potrebbe trovarsi tra due fuochi. Se la giunta si esprimesse a favore dell’utilizzabilità, si muoverebbe in linea con le valutazioni del Csm ma farebbe uno sgambetto a Ferri. Se invece si esprimesse in modo contrario, delegittimerebbe anche il procedimento disciplinare già concluso nei confronti di Palamara.

Anche nel suo caso le intercettazioni erano l’unica prova e il difensore Stefano Giaime Guizzi aveva sostenuto la loro illegittimità proprio perché avevano captato un deputato senza autorizzazione. Certo è che l’iter non sarà breve e la politica sembra non avere fretta di mettere in calendario una bomba a orologeria pronta ad esplodere.

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