«Evidente discontinuità», dice Italia viva, sulla governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza approvata ieri dal governo Draghi. «Apprezziamo la continuità», li battono sul tempo i reduci del Movimento 5 stelle. In mezzo c’è il decreto sul Recovery esaminato ieri dal Consiglio dei ministri, con cui il primo ministro blinda il Pnrr mettendo in piedi una serie di strutture tecniche che sopravvivranno al suo governo, con una centralizzazione di poteri che questa volta non ha diviso centrodestra e centro sinistra, nord e sud, ma i rapporti tra i livelli dello stato. Alla riunione tra governo e enti locali che si è tenuta ieri prima del consiglio dei ministri a cui hanno partecipato la ministra Maria Stella Gelmini e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli, infatti, i presidenti di regione hanno detto chiaramente di non accettare di essere «esautorati» dalla gestione dei fondi europei e sono riusciti verso sera a trovare un compromesso, ma senza intaccare i poteri di commissariamento che avevano fatto saltare il tavolo del governo Conte II.

La cabina di regia che guiderà la realizzazione del Pnrr ruota attorno alla presidenza del consiglio e vedrà la partecipazione dei ministeri competenti e eventualmente del rappresentante della conferenza delle regioni in base ai progetti affrontati. Le regioni hanno ottenuto anche di partecipare ai comitati per la transizione ecologica e digitale ogniqualvolta si tratteranno questioni di interesse regionale. Ma la bozza del decreto presentata ieri alle regioni dettaglia soprattutto chi saranno i gestori tecnici del Piano.

La segreteria tecnica

Prima di tutto, nascerà una segreteria tecnica sotto la presidenza del consiglio dei ministri che rimarrà in carica fino al 2026 e che si occuperà, tra le altre cose, di indagare le eventuali criticità segnalate dai ministeri e potrà eventualmente suggerire i casi in cui serve un commissariamento. A fianco della segreteria tecnica, nascerà la seconda struttura centrale: una «Unità per la razionalizzazione e il miglioramento dell’efficacia della regolazione», che sempre fino al completamento del Pnrr, sperimenterà soluzioni di semplificazione e suggerirà direttamente al presidente del consiglio «riforme della normativa primaria e subordinata, predisponendo schemi di disegni di legge ai fini dell’iniziativa legislativa del governo».

Il braccio al Mef

Al ministero dell’Economia sarà invece insediato il «servizio centrale per il Pnrr», cioè i sei uffici dirigenziali a cui spetterà il coordinamento operativo, la rendicontazione e il controllo, seguendo sostanzialmente lo schema della divisione dei compiti tra Mario Draghi e Daniele Franco: la mente a palazzo Chigi e il braccio al ministero dell’Economia. Il servizio, per cui è prevista una spesa di circa 20 milioni, potrà avvalersi anche del contributo delle partecipate di stato. Quaranta milioni di euro, invece, saranno investiti nel rafforzare la capacità delle stazioni appaltanti a livello locale, con il supporto della Consip. Inoltre ogni ente coinvolto nell’attuazione del Pnrr è chiamato a creare una struttura di progettazione e monitoraggio dei progetti, con al vertice al massimo tre dirigenti. Si prevedono centinaia di assunzioni nei ministeri che però saranno incluse nel decreto dedicato alla pubblica amministrazione. E infine gli audit indipendenti sui progetti sono affidati alla ragioneria dello stato che potrà arruolare dirigenti in deroga ai limiti per le assunzioni vigenti.

Per tutti i progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza e anche per tutti quelli del fondo complementare da trenta miliardi come la alta velocità Salerno–Reggio Calabria ci sono condizioni ad hoc. Per esempio le aziende che parteciperanno ai bandi dovranno assumere una quota non inferiore al trenta per cento di giovani under36 e donne. Inoltre, cancellata la norma sul massimo ribasso sugli appalti, sono state introdotte condizionalità anche sui subappalti e rialzate le soglie dell’affidamento diretto.

I poteri sostitutivi

Tutti i progetti possono subire un eventuale meccanismo di commissariamento. Rispetto al precedente del governo Conte che aveva ipotizzato la possibilità che i tecnici potessero arrivare a commissariare i ministeri, il livello sembra essersi spostato più in basso. Nel caso in cui gli enti locali ostacolino i progetti, ad esempio non deliberando gli atti necessari, avranno al massimo trenta giorni di tempo per provvedere, superati i quali potranno essere commissariati da un livello superiore dell’amministrazione o da commissari ad acta. Ma potranno anche essere gli stessi soggetti attuatori, quindi anche gli enti locali, a chiedere al governo il commissariamento. Dettaglio non secondario, i commissari non saranno responsabili di contratti di fronte a terzi, lo resteranno gli enti commissariati. Il governo può utilizzare i poteri sostitutivi anche nel caso in cui un organo statale esprima un «dissenso, diniego, opposizione o altro atto equivalente» che può precludere la realizzazione degli interventi.

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