Mario Draghi in questi giorni è stato avvicinato da molti leader di partito che gli chiedevano una potenziale disponibilità. E lui ha sempre detto a tutti la stessa cosa: che a certe domande si risponde soltanto quando arrivano dalla persona titolata per farle, cioè il presidente della repubblica, Sergio Mattarella. E alla fine quella domanda è arrivata, per il collasso delle forze politiche che sostenevano la maggioranza e perché Roberto Fico non è riuscito a completare una missione impossibile, cioè prolungare la vita al Conte ter. Vedremo che esito avrà l’appello di Mattarella a tutte le forze in parlamento a sostenere un governo di alto profilo che affronti le due emergenze che il paese ha davanti, la pandemia e la ricostruzione con il Recovery plan.

Di sicuro il nome indicato è quello di più alto profilo a disposizione: l’ex presidente della Bce ha salvato l’Eurozona dal disastro nel 2011 e 2012, che era un compito all’apparenza ancora più arduo che arginare il caos della politica italiana.

Il ragionamento che circolava in questi giorni era il seguente: Draghi non accetterà mai di andare a palazzo Chigi e bruciarsi così la possibilità di andare al Quirinale nel 2022, quando sarebbe il più naturale dei candidati al di fuori dai tanti aspiranti tra gli esponenti di partito.

In realtà, se Draghi guidasse il paese fino a elezioni non immediate ma neanche a fine legislatura, cioè nella finestra primaverile che coincide con le elezioni amministrative, potrebbe essere ancora in corsa per il Colle. Affronta le due priorità – virus e soldi europei – le gestisce e i partiti lo elevano alla presidenza della repubblica alla scadenza del mandato di Mattarella, a inizio 2022. Vedremo.

Di sicuro, in questa fase di lunga vigilia del suo ingresso nella politica italiana Draghi è rimasto molto in disparte. Tolta l’apparizione al meeting di Comunione e liberazione a settembre, che gli era costata qualche inaspettata polemica, l’ex presidente della Bce è sparito dalla scena pubblica. Rari e pesati i suoi interventi.

Ha anche valutato di accettare uno dei tanti incarichi che il settore privato gli ha offerto, in Europa e negli Stati Uniti, che lo avrebbero messo al riparo dai retroscena di palazzo sulle sue ambizioni politiche, ma ha declinato. Così come ha rifiutato le offerte da università e istituzioni.

L’insofferenza di Conte

Giuseppe Conte, che ne ha sempre sofferto la presenza, aveva provato a neutralizzarlo offrendogli la presidenza della Commissione europea, ma Draghi gli aveva cortesemente spiegato che non era il premier italiano a decidere.

Poi i rapporti si erano compromessi, Conte aveva detto pubblicamente che Draghi aveva declinato perché “stanco” e poi aveva escluso l’ex presidente della Bce dagli stati generali sulla ricostruzione, la kermesse (inutile) di giugno. I Cinque stelle sono sempre rimasti diffidenti verso l’ex governatore della Banca d’Italia, ma Luigi Di Maio ha fatto sapere di averlo incontrato.

Matteo Renzi, con il suo stile un po’ sguaiato, ha iniziato a spendere il nome di Draghi in ogni occasione possibile, pubblica o privata: ha perfino allegato alle critiche di Italia viva al Recovery plan di Conte un documento firmato da Draghi e dall’ex capo economista del Fondo monetario internazionale, Raghuram Rajan. Più chiaro di così. Lo schema delineato dal Quirinale, un governo guidato da alte personalità e sostenuto da quasi tutti i partiti, rende però poco plausibile l’ipotesi che Renzi possa intestarsi un eventuale esecutivo guidato da Draghi.

Poi c’è il centrodestra: perfino Matteo Salvini, non più soltanto Giancarlo Giorgetti, nelle sue periodiche oscillazioni ha dato segnali disponibilità a sostenere un governo di unità nazionale che, inevitabilmente, includesse Draghi.

E Silvio Berlusconi qualcosa conta ancora, ma con lui Draghi ha sempre uno strano rapporto: difficile immaginare personaggi più diversi, eppure fu proprio Berlusconi a battersi per mandare Draghi alla presidenza della Bce nel 2011, superando anche l’ostilità dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti.

Tutti, insomma, a parole dicono di stimare e apprezzare Draghi. Ma quasi tutto nell’azione del governo Conte – e nelle richieste dell’opposizione – è agli antipodi della visione di politica economica di Draghi, che non approverebbe mai il Recovery plan, così vago e privo di una strategia, come è stato varato dal governo Conte II. Draghi non predica certo austerità, ma neanche avallerà la logica della spesa a prescindere che anima il piano attuale.

Avere come presidente del Consiglio Draghi, per i partiti chiamati – forse – a sostenerlo, significherebbe insomma un cambio radicale di agenda, temi, metodi e contenuti. Sarà per questo che mentre lo invocano, Draghi un po’ lo temono tutti.

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