All’indomani delle amministrative il leader della Lega, Matteo Salvini, vero sconfitto della tornata elettorale strappa sulla riforma più importante dell’agenda di governo, la delega fiscale.

La Lega ha fatto mancare i suoi ministri al tavolo del Consiglio dei ministri che ha approvato la cornice della riforma del fisco, includendo la riforma del catasto che il paese attende da almeno nove anni. Giancarlo Giorgetti, il ministro sospeso tra Mario Draghi e Salvini, non si è nemmeno presentato, mandando a mettere la faccia allo strappo il ministro del Turismo, Roberto Garavaglia, che ha lasciato in dissenso la cabina di regia.

Da via Bellerio, sede storica della Lega, hanno subito fatto sapere di essere contrari a una riforma «invotabile» e Salvini ha indetto rapidamente una conferenza stampa dalla Camera, a ridosso di quella in cui il premier e il ministro dell’Economia, Daniele Franco, avevano appena illustrato la riforma, annunciandola come il commento dei risultati – deludenti – della tornata elettorale. Ma il leader ferito voleva parlare d’altro.

Draghi ha gestito abilmente la vicenda. Poiché il parlamento l’aveva cancellata dalla delega, l’esecutivo ha trovato una formula che potremmo definire una riforma del catasto di Schrödinger: la riforma c’è tutta, ma gli effetti sulle imposte sono formalmente sterilizzati.

Non viene modificato nulla del sistema di calcolo delle rendite catastali su cui si basa la tassazione, ma a partire dal gennaio del 2026 – giusto l’ultimo anno di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza – è previsto l’aggiornamento, la razionalizzazione e il completamento delle informazioni sul patrimonio immobiliare italiano.

L’articolo della discordia sulla riforma del catasto prevede infatti da una parte un’opera di accertamento demandata all’agenzia delle entrate e ai comuni sugli immobili attualmente non censiti o classificati non correttamente; dall’altra, l’affiancamento delle attuali rendite catastali alle rendite attualizzate in base ai valori di mercato con successivo aggiornamento automatico. Ma dice esplicitamente che queste non siano utilizzate al fine di determinare i tributi.

Nel disegno del governo, tutta la tassazione sugli immobili, anche quelli produttivi, sarà destinata in futuro alle casse dei comuni «in nome del federalismo fiscale», bandiera leghista.


IL TESTO DELLA DELEGA FISCALE

Le rassicurazioni del governo

A margine di questo testo sibillino, Draghi ha aggiunto rassicurazioni sul fatto che per il contribuente «non cambierà niente» sul fronte del catasto, così come ha rassicurato che le tasse complessivamente non aumenteranno. Ma tutti, a partire dal ministro dell’Economia Franco, sanno che il nodo sono le risorse su cui anche la Corte dei conti ha espresso dubbi.

Franco ha elencato prima di tutto gli obiettivi complessivi della riforma fiscale che verrà tradotta in decreti nell’arco dei prossimi diciotto mesi, obiettivi che secondo Draghi sarebbero condivisi anche dalla Lega. Prima di tutto la crescita economica, attraverso la riduzione del carico fiscale sui fattori della produzione «di due punti superiori alla media dei paesi area dell’euro». Poi la razionalizzazione del sistema, anche sul fronte degli adempimenti fiscali, la lotta all’evasione e la progressività.

Se Salvini durante la sua conferenza stampa ha martellato sulla mancanza nel testo di un richiamo alla flat tax, utilizzando a sproposito il termine per indicare il regime forfettario regalato agli autonomi ai tempi del governo gialloverde e incentivo al sottodimensionamento delle aziende italiane, Franco ha puntualmente ricordato che a un sistema fiscale progressivo ci chiama l’articolo 53 della Costituzione italiana.

Un gesto serio

Il sistema fiscale che dovrebbe comporsi, decreto dopo decreto, tra un anno e mezzo ma che in realtà sarà attuato molto più gradualmente sarà duale. L’obiettivo finale è avere una tassazione proporzionale sui redditi di capitale che, ha detto Franco, «nel futuro dovrà tendere a una unica aliquota e un sistema più equo di tassazione sui redditi personali da lavoro». In questo quadro, l’Irap dovrebbe al termine essere cancellata e l’Ires essere coerente con l’aliquota unica dei redditi da capitale. Sarà poi semplificato il regime dell’Iva, che avrà meno aliquote.

Salvini ha mosso critiche su ogni fronte – troppo generiche, per esempio, la rimodulazione dell’Iva e la promessa sull’Irap – come se non fosse nella natura della legge delega, su cui peraltro da tempo si sa che sarà messa a lavoro una apposita commissione di esperti e ha lamentato anche un mancato riferimento alla ennesima  «rottamazione delle caselle esattoriali», come se potesse essere inserito in un progetto organico di riforma del fisco.

Ma Salvini ha anche lamentato un problema di metodo: «Il documento», ha detto, «ci è stato dato mezz’ora prima». Draghi ha definito l’assenza leghista «un gesto serio», ma quali siano le implicazioni di questo gesto, ha spiegato, «ce lo dovrà dire la Lega stessa».

Il leader del Carroccio, tuttavia, ha presto tolto dal tavolo l’ipotesi di uscire dal governo. Argomento «fuori tema» ha detto, dimostrando che anche la conferenza di oggi era tappa da campagna elettorale.

 

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