Trovare una formula per mettere insieme la politica italiana dovrebbe essere più semplice della sfida proposta oggi al premier incaricato, Mario Draghi, da sindacati e imprese: valutare i tempi giusti per normalizzare l’economia italiana ingolfata dalla pandemia, tra sospensioni di debiti e proroga del blocco dei licenziamenti.

Uniti dalla consapevolezza dell’emergenza, ma divisi sulle ricette per superarla, ieri organizzazioni dei lavoratori e rappresentanti delle imprese hanno chiesto a Draghi di recuperare il tempo perso dalla classe politica con la crisi di governo.

Guadagnare tempo

I sindacati hanno insistito sulla necessità di prorogare il blocco dei licenziamenti in vigore fino al 31 marzo, per evitare la bomba sociale rappresentata da un milione di possibili disoccupati, che farebbe triplicare il numero dei posti persi finora da inizio a pandemia. Non si tratterebbe di un rinnovo «sine die» ha detto la segretaria della Cisl, Anna Maria Furlan, ma di prendersi il tempo per realizzare la riforma degli ammortizzatori sociali in sospeso.

La discussione era ancora a livello generale, ma un primo intervento doveva essere inserito nel decreto Ristori caduto assieme al governo, dice Cristian Sesena, responsabile area lavoro della Cgil che ha partecipato agli incontri al ministero del Lavoro e propone un rafforzamento della Naspi che la trasformi in una tutela universale e una modifica al contratto di solidarietà che possa incentivare le aziende a evitare per i prossimi due anni di dichiarare gli esuberi.

Oltre ai sindacati anche le banche hanno chiesto tempo. Il presidente dell’associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, ha fatto presente all’ex banchiere centralde Draghi che «bisogna lasciare tempo alle imprese di poter lavorare in una condizione normalizzata senza tempi eccessivamente sincopati» e che le banche sono preoccupate per i rischi «per le imprese e conseguentemente per le banche stesse».

Proprio ieri la task force formata dall’Abi, ministero dell’economia, dello sviluppo. Sace, Mediocredito e Banca d’Italia ha fatto sapere che le richieste di moratoria dei prestiti, cioè di sospensione dei pagamenti delle rate, accumulate finora valgono 300 miliardi di euro. E sono 200mila solo le famiglie che hanno aderito al fondo pubblico per la moratoria degli affitti. Secondo la Banca d’Italia il debito delle imprese non finanziarie italiane a breve termine ammontava a più di 250 miliardi di euro nel terzo trimestre del 2020 e quello a lungo termine a oltre 850 miliardi. Questa montagna di debito può essere usata per tamponare le falle e guadagnare tempo o per investire. Per le aziende il dosaggio dei tempi tra il prolungamento del blocco dei licenziamenti, le moratorie sui prestiti e la possibile ripresa è fondamentale: un sistema di vasi comunicanti che ieri si è presentato a Draghi nella forma fisica dei rappresentanti delle parti sociali e delle associazioni di categoria, ognuna con il suo tassello di problemi.

Il «sostegno più convinto»

La Confindustria di Carlo Bonomi, notoriamente in rotta di collisione con il governo di Giuseppe Conte ha espresso a Draghi «il più convinto sostegno» e ha elencato tutte «le questioni irrisolte», dagli investimenti del piano di ripresa, dalla riforma del fisco fino alla sostenibilità della finanza pubblica. Curiosamente Bonomi ha citato il problema del debito delle imprese, ma non ha nemmeno parlato dei licenziamenti, su cui al contrario i sindacati sono stati uniti e netti. Inoltre, se Confcommercio e Confesercenti hanno domandato di prolungare gli aiuti, Confindustria aveva chiesto nelle settimane passate di proseguire la cassa integrazione per Covid per i settori che sono stati chiusi per decreto a causa della pandemia, limitandola quindi a settori come turismo, ristorazione, alberghi e mondo della cultura e dello spettacolo, iniziando a selezionare. Ma secondo il sindacato questa scelta rischia di non tenere conto della complessità della situazione. «Oggi non abbiamo un indicatore certo, per orientarci tra le imprese che rischiano di fallire per la pandemia e quelle che sono in difficoltà per altro», dice Sesena. La pandemia è in corso e questo significa oggi non abbiamo visibilità di come andrà il contagio e di quanto tempo ci vorrà per arrestare la diffusione del virus e senza un indicatore o con un cattivo criterio di selezione, si rischia una «operazione già di partenza iniqua».

L’apertura di credito delle organizzazioni dei lavoratori al nuovo possibile governo è in ogni caso forte. I sindacati hanno apprezzato la chiamata di Draghi – che ieri ha visto tutti gli interlocutori coinvolti nella attuazione del Recovery plan dagli enti locali alle associazioni ambientaliste –, si aspettano che il confronto continui e il segretario della Cgil Landini ha chiesto che le parti sociali siano coinvolte anche nelle strutture di governance del piano di ripresa e resilienza.

L’esperienza passata dice a imprese e sindacati che serve prudenza. Con il governo Conte due il dialogo aveva funzionato bene durante la prima parte dell’emergenza, quando il confronto tra parti sociali e esecutivo aveva portato alla firma dei protocolli di sicurezza per fabbriche e luoghi di lavoro, poi il dialogo si è progressivamente diradato.

Certamente ieri Draghi non ha preso posizione tra differenti fronti, ha soprattutto ascoltato. Dopo anni in cui ha cercato di governare l’economia reale attraverso la leva monetaria, ora dal fisco alle tutele del lavoro, deve essere pronto ad usare senza errori tutte le altre.

© Riproduzione riservata