Alla fine del primo consiglio dei ministri non c’è una esplicita consegna del silenzio. Ma è come se ci fosse. Dario Franceschini, uno dei confermati del governo Conte bis – al ministero della Cultura ma senza le deleghe per il turismo – è un veterano quindi si concede qualche battuta con i cronisti. Quasi tutti gli altri filano via in macchina. Posteranno buoni propositi sui social, niente di più, per ora. Finito il giuramento al Quirinale, una cerimonia veloce che inizia in anticipo rispetto a mezzogiorno e dura un quarto d’ora, i neoministri sono ammessi a palazzo Chigi solo dopo aver superato la prova del tampone. Mario Draghi chiede «coesione» e «unità» per «mettere in sicurezza il paese». Combattere il coronavirus, affrontare il piano vaccinale, tutelare il lavoro, contrastare la crisi economica e dare un’impronta «fortemente ambientalista» al governo, «gli interessi dell’Italia vengono prima degli interessi di parte».

Formule di rito, ma non in questo caso. Nel suo esecutivo siedono accanto esponenti di forze che si combattono da sempre. Lo sguardo severo del presidente del Consiglio non basterà a tenere a bada i conflitti. Per il momento si sa che nel prossimo milleproroghe, che sarà votato con la fiducia, Pd e Italia viva hanno intenzione di non esasperare i toni sull’emendamento Costa-Magi che modifica la legge Bonafede sulla prescrizione. Un gesto di buona volontà a cui Forza italia è pronta ad adeguarsi. 

Conflitti nella maggioranza

Nell’immediato i conflitti più spinosi sono quelli che attraversano i partiti della maggioranza. Tutti, con sfumature diverse. Esplode il dissenso dei Cinque stelle. Mentre giurano i quattro colleghi “salvati” – Luigi Di Maio, Fabiana Dadone, Federico D’Incà e Stefano Patuanelli – l’ex ministra Barbara Lezzi raccoglie firme per ripetere la votazione su Rousseau. Scrive al traballante reggente Vito Crimi con toni minacciosi: il «superministero della transizione ecologica» si è rivelato una delusione. Grillo posta ispirato, ma i dissidenti convocano assemblee a ripetizione. E le loro chat esplodono: «siamo stati trattati come deficienti», «si fa prima a contare chi vota sì», «un governicchio di mezze cartucce». Il ministro Patuanelli fa sapere che non avrebbe voluto giurare, ma poi Crimi lo ha implorato. È il caos. Di Maio sui social rende omaggio a Conte, ma sembra farne l’epitaffio (politico), Conte esce per l’ultima volta da palazzo Chigi fra gli applausi dei commessi e degli impiegati.

Anche nelle altre forze politiche i contraccolpi della lista dei ministri scelti da Draghi si sentono. Sotto le felicitazioni di facciata covano fuochi. Fuocherelli, magari, se riusciranno ad essere domati con la carica dei sottosegretari. Dal governo si prevede il loro giuramento entro due giorni, prima della fiducia del Senato, mercoledì alle 10 . I veterani del parlamento invece dicono che prima del prossimo fine settimana non ne caveranno ragno. E hanno ragione. Stavolta i partiti sono meno remissivi. Matteo Salvini fa buon viso a cattiva sorte, ma i tre ministri leghisti voluti da Draghi sono lontani dal leader: Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia sono fra quelli che hanno contestato la svolta del Papeete nell’estate del 2019, la ministra Erika Stefani è vicina a Luca Zaia. Il leader chiede posti strategici per i suoi: per esempio alla salute, da dove ci si possono infilare zeppe nell’eterno conflitto fra il ministro Roberto Speranza e le regioni.

Le pretese dei berlusconiani

A proposito del ministro della salute: Leu mantiene un ministro, anche se in teoria sarebbe anche un segretario di partito (Art.1). Il gruppo alla Camera, guidato da Federico Fornaro, ovviamente voterà la fiducia. Ma avrà dissensi pesanti. Nicola Fratoianni, portavoce di Sinistra italiana, oggi riunisce l’assemblea del suo partito e si avvia a votare no. Sui sottosegretari anche i berlusconiani doc avanzano pretese: Renato Brunetta, nuovo ministro della Pubblica amministrazione, e Mara Carfagna, al Sud, vengono considerati quasi fuori dal partito per l’autonomia dall’alleato Salvini. I “piccoli”, Cambiamo e Udc, chiedono rappresentanza in cambio della fedeltà. Probabile un posto da sottosegretario anche per +Europa (in questo caso il candidato è Benedetto Dalla Vedova). Dalla Sicilia arrivano lamentazioni generali: il governo è in gran parte formato da ministri del nord. Da Forza Italia ai Cinque stelle viene denunciata l’assenza di un ministro siciliano, al posto dei quattro del Conte bis. Anche nel Pd tira un’ariaccia. L’assenza di ministre ha provocato la reazione di molte dirigenti. Cecilia D’Elia, portavoce delle donne dem, parla di «ferita», Debora Serracchiani di «dura lezione, per la prima volta nella delegazione al governo non c’è una rappresentanza femminile». La questione monta, ma ex post. E anche qui la soluzione – si fa per dire – sarà cercata (accontentandosi) nei posti di sottogoverno.

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