Il programma delle consultazioni con le parti sociali arriva nel tardo pomeriggio; lo scioglimento della riserva del presidente incaricato Mario Draghi potrebbe slittare di qualche giorno e il nuovo governo potrebbe non arrivare il prossimo lunedì. Ma le delegazioni dei partiti non riescono a saperne nulla più dei titoli del futuro programma. In questo secondo giro di consultazioni, gli appunti di tutti sembrano fotocopie: «governo europeista», «maggiore integrazione», «atlantismo», «accelerazione sui vaccini», e ambiente, riforma della giustizia e della pubblica amministrazione, dei sussidi e degli ammortizzatori sociali, nuovi posti di lavoro con investimenti pubblici, insegnanti in cattedra dall’inizio dell’anno scolastico. Se Draghi non ha messo il pilota automatico, poco ci manca.

Nulla, per ora, sulla squadra di governo, né sul temuto o auspicato mix fra politici e tecnici. Viene riferito che Draghi risponde con un sorriso sotto la mascherina a ogni allusione. L’ex capo della Bce conosce il peso delle parole per via del lungo esercizio spirituale e professionale nella precedente vita: quando una virgola fuori posto poteva far saltare i mercati. I leader politici escono frustrati dai colloqui e, alla tribuna della Sala della Regina di Montecitorio si dedicano a regolare i conti interni. Giorgia Meloni, l’unico no depositato per ora, si leva il gusto di mettere un dito nell’occhio all’alleato Matteo Salvini folgorato sulla via dell’europeismo: «Draghi immagina un sistema fiscale improntato alla progressività, il che immagino escluda la flat tax». Silvio Berlusconi è volato dalla Francia contro il parere dei medici, non voleva rinunciare al momento di gloria. Per lui Draghi è una vittoria egemonica sulle destre sovraniste alleate. Un cellulare garibaldino riprende la sua grande allegria quando, entrando nella sala, si abbassa la mascherina per sfoderargli un sorriso anni 90. Risposta cordiale. «Grazie di essere venuto». Dopo, quando l’ex cavaliere parla ai cronisti, legge, ha l’aria affaticata, ma non al punto da rinunciare a tirare anche lui un calcetto a Salvini: «Il governo durerà il tempo necessario». Il leghista, prima di convertirsi all’elogio entusiastico del futuro premier, chiedeva un governo a scadenza. Ora si rimangia anche questo, come la flat tax, i decreti immigrazione, il no all’euro, l’amicizia con Putin. La scadenza del governo arriverà, nel caso, solo se sarà utile al passaggio del premier da palazzo Chigi al Quirinale. Ma questa sarà un’altra storia.

Il Pd insiste sui tecnici

Tocca a Nicola Zingaretti: «Non possiamo che confermare la nostra fiducia a questo tentativo». Nel suo partito, nel suo stretto giro, c’era chi avanzava l’idea di un appoggio esterno. Ora si spera in un esecutivo di «soli tecnici» per evitare lo sfregio di votarsi un governo con esponenti leghisti. Ma è un desiderio: chi rispolvera i discorsi di Draghi può ritrovare passaggi sull’importanza della legittimazione popolare, difficile che sbianchetti i tutti i politici dalla sua lista. Peraltro c’è chi racconta che Salvini sta cercando di fargli arrivare la sua «totale disponibilità». Il leader leghista cerca ambasciatori: non può dirlo direttamente all’incaricato, che prende appunti precisi ed è per giunta piantonato da due altissimi funzionari della camera. Però qualcosa si muove a Bruxelles: la leader dei Socialisti e Democratici Iratxe Garcia Perez dichiara la sua preoccupazione per un’intesa con i sovranisti che lì è stata sistematicamente evitata. Salvini è alleato «con Le Pen e all’estrema destra tedesca», dichiara, «dovrebbe avere difficoltà e imbarazzo a sostenere Draghi dopo quanto detto e fatto in questi anni, rischia di essere un fattore di instabilità per il nuovo governo». Salvini in serata dirama l’ordine ai suoi europarlamentari di votare si al Recovery fund.

«Pd e Lega sono e rimangono due forze alternative», dice Zingaretti, ma non ci saranno «veti a prescindere». Il Pd non può metterne, il mandato di Mattarella per un governo «di unità» non consente sfumature. Le domande dei cronisti virano sull’eventuale congresso anticipato. Il segretario Pd se la prende con i suoi «marziani» che vorrebbero cucinargli il piatto avvelenato della defenestrazione. In realtà è una minaccia senza costrutto, un avviso un po’ bullesco, non a caso arriva dagli ex renziani di Base riformista. Stefano Bonaccini, in forza a questa corrente, in questi giorni è tornato molto attivo sui media. A scanso equivoci Marco Miccoli, molto vicino al segretario, twitta: «Volevo ricordare che per fare il segretario Pd ci si deve candidare al congresso e vincere le primarie a cui partecipano iscritti ed elettori. 1milione 700mila l’ultima volta». E poi non si può votare in tempo di Covid e si possono fare le primarie?

Leu mette in conto una separazione consensuale. I Cinque stelle una a pesci in facci. Nella delegazione di Montecitorio c’è di nuovo Beppe Grillo, ma è Vito Crimi ad immolarsi davanti ai cronisti: fa sapere che Draghi «apprezza il lavoro del governo precedente» e che M5s chiede non un ministero ma un superministero per la transizione energetica. Ma è una giornataccia per il movimento.

Oggi si dovrebbe tenere il voto sulla piattaforma Rousseau. Ieri sera Alessandro Di Battista ha organizzato un evento per il No a Draghi, evento davvero unico se per la prima volta sono ammessi anzi invitati i giornalisti. Quelli del sì hanno organizzato un D-Day, nel senso Draghi Day: dichiarazioni a ripetizione a favore del futuro governo.

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