Il nuovo rapporto di previsione di Prometeia, presentato il 30 settembre, fornisce le previsioni per l’economia italiana per la fine del 2022 e l’inizio del 2023. Il futuro della nostra economia dipenderà dalle politiche del nuovo esecutivo e dall’evoluzione del quadro economico e politico mondiale, il che rende difficile la lettura di tali previsioni.

Negli ultimi anni l’economia italiana ha avuto buone performance, malgrado la pandemia, la guerra e l’inflazione, con una accelerazione del Pil poi frenata dalla riduzione dei consumi, ma sostenuto dalle esportazioni e dagli investimenti.

Così l’economia italiana aveva recuperato i livelli pre crisi facendo meglio di Germania e Spagna. Certamente le politiche fiscali, superiori a quelle medie europee – escludendo l’ultimo intervento tedesco di 200 miliardi – hanno avuto un effetto positivo. Tuttavia vi sono ferite da rimarginare. Molti settori sono rimasti indietro a causa dell’aumento dei costi di produzione mentre il mercato del lavoro presenta ancora troppo lavoro precario e malpagato e salari che non accennano a salire in base all’inflazione.

Gli effetti dell’inflazione

Per quanto riguarda l’inflazione e il costo dell’energia il quadro è molto simile a quello degli anni Settanta con due shock petroliferi e un’inflazione arrivata al 17 per cento. Ma ora, rispetto ad allora, la bilancia dei pagamenti non energetici offre avanzi di bilancio più consistenti, quindi maggiori risorse da destinare ai problemi generati da questo quadro.

Ora l’inflazione si aggiunge alle disimmetrie della politica italiana già prodotte dalla pandemia, ad esempio, incidendo sui prezzi del gas, dell’elettricità e degli alimentari, che pesano in particolare sulle famiglie a basso reddito, il cui primo quintile sopporta un’inflazione effettiva dell’11 per cento, con conseguente diminuzione del potere d’acquisto.

Anche le imprese sono in difficoltà rispetto alla situazione pre crisi del 2018, soprattutto per l’aumento dei costi di produzione, causato dai prezzi di gas ed elettricità quasi raddoppiati, che può diminuirne la competitività. Comunque molte aziende sono riuscite ad assorbire in parte questi aumenti, mentre in alcuni settori il problema ha portato a una situazione di grave crisi. Purtroppo tali effetti si pensa possano durare ancora per un anno.

La fine della fase espansiva

Tutto questo ci dice che la fase espansiva si è esaurita e ci avviciniamo a una fase di recessione tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 i cui sintomi si vedono già nello scenario statunitense. Quindi solo nel 2024 si potrà uscire dalla crisi nella previsione di una discesa dell’inflazione. Ma per l’Italia non c’è solo il gas, ci sono anche la pandemia, la guerra, la transizione climatica e il quadro geopolitico che potrebbe portare problemi alle nostre esportazioni.

Una buona notizia

Le buone notizie arrivano dalla finanza pubblica che sta andando bene. Le entrate sono in crescita e le spese sono in diminuzione. Nel 2023 l’indebitamento potrebbe scendere sotto il 5,2 per cento, inferiore rispetto a quello indicato nel Def di aprile, tale da costituire una riserva da destinare al sostegno di famiglie e imprese.

Molto dipenderà dalla politica economica del nuovo esecutivo al quale sono arrivati alcuni saggi suggerimenti da parte di Confindustria: basta con le follie della flat tax e dei prepensionamenti. Importante sarà anche la realizzazione del Pnrr seppure con minore impulso degli interventi in parte spostati al 2024. Ma ancora più importante sarà la gestione del debito pubblico che l’aumento dei tassi di interesse ha reso più complicato, anche in relazione al quadro economico internazionale.

Il quadro economico internazionale

L’inflazione è ancora un problema centrale per l’economia mondiale, come dimostrano le decisioni della Fed che continuerà ad aumentare i tassi fino alla fine dell’anno, seguita dalle banche centrali dei principali paesi. L’economia mondiale è dunque in fase decrescente con pericoli di recessione in molti paesi, compresi Russia e Brasile, recessione alla quale ha contribuito anche la diminuzione dei consumi delle famiglie.

Negli Stati Uniti l’Inflation Reduction Act di metà agosto porta a una riduzione delle spese nette del bilancio statale, ma riduce anche la ricchezza delle famiglie, quindi la domanda esterna. Le politiche della Fed portano a rafforzare il dollaro, ma incidono anche sull’economia mondiale, in particolare su quella dei paesi con debito pubblico elevato e modeste riserve, che non permettono di difendere la moneta nazionale. Nel 2023 Prometeia prevede una stagnazione mondiale con un Pil pari all’1,6 per cento, rispetto alle previsioni del 2022 pari al 2,3 per cento. Stessa situazione per il commercio mondiale ora previsto all’1,5 per cento rispetto al 2,8 per cento previsto nel 2022. In particolare le previsioni al ribasso per il 2023 riguardano gli Stati Uniti (0,5 per cento), per l’Ue (1,6 per cento) e Cina (4,8 per cento).

Questo dimostra come anche il quadro internazionale renda difficile la lettura delle previsioni per l’economia italiana. Problemi che richiedono una profonda preparazione del ministro dell’Economia che verrà.

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