Il segretario del Pd Enrico Letta ha incaricato Dario Parrini, senatore democratico e presidente della commissione Affari costituzionali, di andare a trattare con la Lega perché con il Movimento 5 stelle, nei mesi passati considerato l’alleato naturale, ormai non si cava un ragno dal buco.

È necessaria una nuova legge elettorale, i temi sono sempre più stretti, e la situazione politica troppo volubile per poter contare sui Cinque stelle, che, dopo la scissione di Luigi Di Maio, premono il leader Giuseppe Conte per uscire dal governo Draghi. Parrini insieme al senatore leghista Roberto Calderoli, l’esperto del partito che da anni si occupa di riforme istituzionali, secondo Repubblica hanno studiato un nuovo modello elettorale che accontenterebbe sia il centrodestra sia le anime del centrosinistra. Il Movimento, al momento, non è stato coinvolto in nessun modo. 

Si tratta di un sistema proporzionale in cui ogni partito può andare alle elezioni da solo, con le proprie liste e simboli, senza dover decidere quali candidati appoggiare in ogni collegio uninominale. La proposta, però, prevede anche un premio di maggioranza per garantire i numeri necessari per formare un governo stabile nel 2023. 

Addio al proporzionale M5s

In questo modo, viene archiviata la proposta di cui si era fatto promotore il Movimento, alla Camera, con il presidente dell’altra commissione Affari costituzionali, Giuseppe Brescia. La sua sintesi è stata depositata il 9 gennaio 2020, un proporzionale puro con una soglia di sbarramento da superare del 5 per cento. Ma non piace a nessuno e il continuo rinvio dell’esame in commissione lo ha dimostrato.

«Non voglio né devo commentare nulla, i giornali li ho letti anche io ma, al momento, ufficialmente non si è mosso nulla. Quindi andare dietro alle voci non è utile per nessuno», ha detto ieri Brescia all’agenzia Adnkronos. Eppure conferma che la proposta M5s non è in discussione: «Quanto al mio testo, è chiuso nei cassetti della commissione da più di due anni. Quindi non so proprio per chi possa essere un “testo di riferimento”».

Il fastidio dei Cinque stelle per la trattativa tra il Pd e la Lega è palese, ieri sia alla Camera sia al Senato è stato motivo di molteplici discussioni tra i parlamentari. Il Pd, quindi, ha risposto con un messaggio in codice per rassicurare il Movimento: per il partito è indispensabile un’intesa molto ampia in parlamento, «senza blitz e fughe in avanti, ma attraverso una discussione seria e approfondita che coinvolga tutte le forze politiche e parlamentari». 

Le due capogruppo Pd Simona Malpezzi e Debora Serracchiani lo hanno ribadito in un comunicato congiunto: «Per noi è importante cambiare una pessima legge elettorale e crediamo che per riformarla sia indispensabile il coinvolgimento di tutte le forze politiche».

I fatti dimostrano però che il Pd ha volutamente scavalcato il Movimento con l’aiuto della Lega, e quest’ultima lo ha fatto a sua volta con Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi. Ad entrambi i partiti, però, non conviene dirlo apertamente. «Le regole del gioco non si cambiano a fine partita. Inutile perdere tempo, il centrodestra è già al lavoro per costruire programma e squadra di governo, chissà se Pd e Cinque stelle sapranno fare altrettanto», è stata la replica della Lega dopo le parole delle capigruppo del Pd.

Il compromesso

La Lega non può chiedere chiaramente che vengano smantellate le coalizioni preferendo il sistema proporzionale a quello maggioritario, che invece le imporrebbe. Salvini rimane legato al mito della coalizione di centrodestra, che crede indissolubile, e non vuole rompere fino in fondo con Giorgia Meloni, nonostante i sondaggi dicano chiaramente che è lei quella con più voti. Il Pd, invece, punta al proporzionale perché l’idea di una coalizione, il cosiddetto “campo largo” teorizzato da Enrico Letta alla fine del 2021, ancora non c’è e un maggioritario vero e proprio fa spavento.

Entrambi gli schieramenti hanno un secondo problema, il centrodestra in particolare: la scelta dei candidati nei collegi uninominali. Dovrebbero essere spartiti in base ai sondaggi, ma Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia hanno già dato prova con le elezioni comunali di non essere dei campioni nella scelta dei nomi comuni e soprattutto due dei tre leader, Meloni e Salvini, lottano per emergere uno nei confronti dell’altro. Il rischio, dunque, è quello che si generino solo disaccordi invece che intese.

Si è così giunti al testo lavorato dai due senatori. Il proporzionale terrebbe dentro sia il vincolo di coalizione sia il premio di maggioranza. Ogni partito correrebbe per contro proprio presentando i suoi candidati e lo farebbe stando sotto la campana sicura di una coalizione dichiarata prima del voto, come succede nel sistema delle elezioni comunali. Salvini resta con gli alleati di centrodestra senza dover litigare sui collegi, Letta resta con Conte nel caso si riesca a fare il campo largo, altrimenti va da solo.

Per molti versi il nuovo modello è analogo alla vecchia legge Calderoli, dichiarata incostituzionale per l’assenza di una soglia che aprisse l’accesso al premio. Il problema verrebbe superato introducendo un quorum che garantisca il premio. La Lega vorrebbe fissarlo al 40 per cento per arrivare al 55 per cento dei seggi, il Pd al 45 per cento. I Cinque stelle, invece, sono contrari.

Il premio di maggioranza, oltre a garantire la stabilità, potrebbe attrarre un pezzo dell’opposizione: Fratelli d’Italia. «Un proporzionale con il premio di maggioranza? Accettabile, del resto era la mia proposta», ha detto ieri all’Adnkronos il senatore Ignazio La Russa, che però ha avvertito: «Ma, in certe cose, sai da dove parti e non sai dove arrivi. Noi non ci fidiamo».

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