Silvio Berlusconi è arrivato a Roma nel pomeriggio di oggi e ha trasformato la sua residenza di villa Grande nel quartier generale da cui guiderà i prossimi tredici giorni.

È partito il conto alla rovescia verso la prima chiama per eleggere il presidente della Repubblica, fissata il 24 gennaio, e il Cavaliere è in assetto da guerra. Il primo nella sua lista di incontri è il coordinatore di Forza Italia, Antonio Tajani, in serata lo hanno raggiunto i capigruppo di Camera e Senato, Paolo Barelli e Anna Maria Bernini, poi seguiranno gli altri colonnelli azzurri.

Tutti chiamati a render conto degli ultimi sussulti dentro il centrodestra, con i numeri incassati negli incontri informali dei giorni scorsi. Ma soprattutto di quali segnali di apertura sono stati incassati dal centro, in cui viene inserita anche Italia viva.

Tutto deve essere pronto per il vertice di centrodestra con Matteo Salvini e Giorgia Meloni previsto nel fine settimana: quello sarà il momento della verità in cui Berlusconi dovrà formalmente sciogliere una riserva che sembra non esserci mai stata e candidarsi apertamente al Colle.

Chi lo incontra in questi giorni non ha molti dubbi. Per quanto i suoi consiglieri di sempre, Gianni Letta in testa, lo abbiano cautamente messo in guardia («scoraggiato è una parola troppo forte, ma certamente lo hanno invitato a riflettere con attenzione», dice chi è al corrente dei colloqui), Berlusconi sembra ormai irremovibile.

Energico come non lo si sentiva da tempo, l’adrenalina che precede la corsa però gli ha fatto compiere il suo primo passo falso.

Il retroscena trapelato da ambienti forzisti per il quale il Cavaliere si sarebbe detto pronto a uscire dalla maggioranza in caso di elezione al Quirinale di Mario Draghi, infatti, non è piaciuto agli alleati e ha lasciato freddi anche molti maggiorenti di Forza Italia oggi impegnati al governo. Per i primi, la scelta andrebbe presa di comune accordo nell’alleanza di centrodestra, per i secondi l’idea che sia FI a staccare la spina all’esecutivo come fallo di reazione è fuori da ogni ipotesi.

Gli alleati freddi

Non a caso, la strategia è stata quella di non commentare e di passare oltre. L’unico a permettersi una battuta è proprio chi sa di essere indispensabile in questa fase, come il governatore ligure Giovanni Toti, fresco di nomina come delegato regionale e leader dei 29 grandi elettori di Coraggio Italia.

Toti ha ribadito che la candidatura di Berlusconi è autorevole, ma anche che le urne ora sono da evitare, chiunque salga al Colle. Inoltre, ha aggiunto una frase sibillina: «Suggerisco umilmente al presidente Berlusconi di parlare meno da leader politico, perché un segretario di partito non è normalmente il miglior candidato».

Tradotto: i voti del centro non sono per nulla sicuri, nonostante Toti e Noi con l’Italia di Maurizio Lupi siano sempre invitati ai tavoli del centrodestra. E non aiuta ad assicurarli il fatto che Berlusconi sia pronto a sacrificare la legislatura in caso di mancata elezione.

Intanto, pur silenziosi, i due grandi alleati Salvini e Meloni si stanno muovendo a tutto tondo. Nessuno dei due intende togliere slancio a Berlusconi, entrambi però lavorano su altri tavoli. In particolare Salvini, che è sempre più proiettato in direzione di fare da regista nel dialogo con i giallorossi per trovare un nome condiviso che però sia proposto dal centrodestra. Nome condiviso che è da escludere possa essere quello di Berlusconi.

È questo il grande non detto che nel vertice del fine settimana andrà chiarito nel faccia a faccia: se il centrodestra vuole fare da king maker, deve presentare a Pd e Movimento 5 Stelle una rosa di nomi tra cui scegliere. Tutti di centrodestra, magari. Ma Salvini non potrà certo presentarsi con un singolo nome, men che meno quello di Berlusconi.

Altrimenti, il rischio è quello chiarito dal convitato di pietra, il premier Mario Draghi: se il parlamento si spacca, è difficile pensare che la debole maggioranza attuale possa andare avanti.

Nessuna di queste mosse è segreta: il Cavaliere è stato messo in guardia anche pubblicamente, ma la decisione finale spetta a lui. E sembra che a tenerlo saldo sulla posizione sia il fatto che «non vede giganti intorno a lui». Ovvero, non sono emerse candidature che lui considera alla sua altezza, tranne quella di Draghi.

E allora l’istinto del leader è quello di giocare tutte le carte. Tanto più che oggi sono stati eletti i primi 24 grandi elettori delle regioni e in Lombardia è sorto un mezzo pasticcio nel centrosinistra: per l’opposizione è stato eletto il grillino Dario Violi e non il capogruppo del Pd, e i dem hanno gridato al sabotaggio del centrodestra. Un segnale letto come l’ennesimo sintomo della fragilità dell’alleanza giallorossa.

A chi gli chiedeva del Quirinale, un grande escluso dalla corsa come Giulio Andreotti rispondeva: «Non c’è nessun metodo che garantisca la vittoria, ci sono solo errori da non commettere». E il primo passo falso di Berlusconi rischia di essere l’aver sventolato lo spauracchio delle urne.

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