«Stiamo lavorando per avere una scelta veloce e di alto livello. A differenza di Letta non mettendo veti nei confronti di nessuno. La settimana prossima, quando si comincia a votare, la Lega come forza responsabile e di governo farà una proposta che penso potrà essere convincente, se non per tutti, per tanti».

Fuori dal Senato, davanti ai cronisti, Matteo Salvini sembra mettere in conto l’uscita di scena della candidatura di Silvio Berlusconi. Che, spiega, «farà i suoi conti entro l’inizio della prima votazione».

Poi il leader della Lega tirerà fuori dalla manica il suo asso, ammesso che ce l’abbia. Confortato, forse, anche dalla disponibilità che Matteo Renzi dichiara di votare una personalità di centrodestra, anche se il Pd non dovesse votarla.

Le tre strade di Letta

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Ma i numeri ballano, anche quelli delle destre, e Salvini – che poi smentisce letture «malevole» delle sue parole – lo sa. Sabato scorso, alla riunione della direzione con i gruppi parlamentari, il segretario Enrico Letta ha cominciato a battere proprio su questo tasto: «In parlamento nessuno ha la maggioranza. Il parlamento è una unione di minoranze».

Una sottolineatura che serve a sedersi al tavolo con il centrodestra, da una posizione non troppo “debole”, quando e se mai questo tavolo davvero ci sarà. Per il leader del Pd la giornata era dedicata alla commemorazione di David Sassoli a Strasburgo con tutti i leader dell’Unione europea. Presente anche Mario Draghi.

Letta si è fatto dare dal suo partito il mandato su un «metodo» per entrare nella trattativa per il prossimo presidente della Repubblica. Eppure per i vertici del Nazareno alcuni nomi sono più quirinabili di altri.

Nell’ordine: il bis di Mattarella («sarebbe il massimo», ha detto Letta), Draghi (che però una parte importante dei parlamentari guarda con scetticismo); infine se le prime due dovessero risultare impraticabili, un nome di «garanzia», contestuale a un accordo con le forze di maggioranza sulla tenuta della legislatura: in questo terzo caso più che gradito sarebbe un profilo come quello di Giuliano Amato. Ma anche quello di una personalità «non divisiva» della destra. Che non sia, naturalmente, Berlusconi.

Ma sulla rielezione di Mattarella mancano i numeri, almeno fino a cause di forza maggiore: da tempi non sospetti Salvini ha lasciato intendere di essere contrario. Quanto a Draghi, Letta è l’unico leader di maggioranza a tenere in campo questa ipotesi. Che alla fine, è il ragionamento che circola fra i dirigenti più vicini al segretario, potrebbe essere l’unico nome «non divisivo», e l’unico che alla fine offrirebbe garanzie su un nuovo esecutivo e dunque sulla prosecuzione della legislatura.

Scende Amato

Quanto al terzo caso, ieri sono scese le quotazioni di Amato. Anche, ma non solo, come effetto collaterale di un’intervista rilasciata al Corriere della Sera da Goffredo Bettini, in cui il padre dell’alleanza giallorossa “svela” i nomi che un pezzo del suo partito considera papabili: il ministro Dario Franceschini, il fondatore della comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi (entrambi in realtà indigesti alle destre, per ragioni diverse) e infine proprio Giuliano Amato.

Un’ala dei Cinque stelle reagisce male. Innanzitutto a un altro passaggio dell’intervista, quello secondo cui Conte è «più leader di governo, che capo di un partito». «Se l’unità d’intenti in vista del Quirinale è rappresentata da interviste e colloqui rilasciati alla stampa in cui si esprimono giudizi sul movimento e il suo leader politico», secondo Stefano Patuanelli, ministro e capodelegazione M5s, «la direzione di marcia della coalizione non è quella giusta». Bettini poi corregge («stimo Conte umanamente e politicamente», dice a Tpi), ma quelli ostili al loro presidente prendono la palla al balzo per reagire contro la vicinanza politica che il dirigente Pd lascia intuire con l’ex premier. E per mettere in dubbio la collaborazione con il Pd (il ministro Luigi Di Maio, infatti, sembra lavorare a un nome proveniente dalla destra).

Infine anche per far circolare il sospetto che l’ex premier stesse, a questo punto a titolo poco più che personale, ragionando su un nome voluto da una parte della sinistra, quello di Amato, un tempo non sgradito a Berlusconi ma da sempre indigeribile per i grillini. Per domani è stato annunciato un vertice Pd-M5S-Leu.

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