Tre regioni alle urne. Così il centrodestra regola i suoi conti

Finalmente la lunga galoppata delle regionali si è conclusa. A microfoni spenti sia esponenti di Fratelli d’Italia sia del Pd confessano il loro sollievo. Essere in campagna elettorale sui territori a novembre, con la manovra di Bilancio da presidiare, è un incubo per qualsiasi parlamentare. Non è l’unica convergenza inedita: in entrambi gli schieramenti c’è la consapevolezza che difficilmente la linea del fronte cambierà e dunque non ci saranno echi di rilievo nazionale. In Puglia la battaglia si è aperta solo per la frazione di secondo in cui il candidato del centrosinistra, Antonio Decaro, ha minacciato il passo indietro. Il Veneto è il suo specchio a Nord: nessuna chance di rimonta per Giovanni Manildo, la speranza è quella di superare il 30 per cento, impotente contro la corazzata di centrodestra. Unico brivido, seppur improbabile, potrebbe arrivare dalla Campania, dove la scelta dell’ex presidente della Camera Roberto Fico come candidato del centrosinistra fa sperare lo sfidante, Edmondo Cirielli. A fare da ago della bilancia sarà, quasi sicuramente, la volontà dello “sceriffo” Vincenzo De Luca, che è stato pragmatico regista della sua successione. Le regioni non cambieranno colore, ma sarà necessario prestare attenzione a tutte le sfumature. Nelle tre contese elettorali la vera gara si gioca all’interno delle coalizioni. E questo è vero soprattutto nel centrodestra. Veneto, obiettivo: stravincere. Meloni parla di unità ma è tutti contro tutti Il Veneto La Lega ha tenuto duro sotto la bandiera di San Marco e ha ottenuto di esprimere ancora il candidato presidente. Eppure, sarà comunque un voto che segnerà la fine di un mondo: chiusa l’èra di Luca Zaia il suo successore, Alberto Stefani, rischia un’elezione dimezzata. Non è un mistero che i vertici regionali di Fratelli d’Italia avrebbero volentieri rivendicato una poltrona che ritenevano spettasse loro di diritto, forti del fatto di aver veleggiato sopra il 30 per cento in tutte le ultime tornate elettorali. Invece così non è stato: cause di forza maggiore legati agli equilibri romani della maggioranza di governo. Anche per questo l’indicazione di FdI ai suoi è stata di non fare prigionieri: casa per casa, porta per porta, i voti vanno raccolti nel nome di Giorgia Meloni, per incassare una schiera di consiglieri regionali e colonizzare gli incarichi di peso in giunta. Così, non sarà nemmeno in discussione (se mai ancora lo è) chi esprimerà il candidato per la Lombardia nel 2028. E anche in tutti i comuni di grandi dimensioni smetterà di esistere l’automatismo per il quale la prima scelta per il candidato sindaco è sempre leghista: a Treviso la Lega e FdI si stanno già litigando lo scranno e sarà così anche a Venezia e Verona. Sanità pubblica in affanno, il “modello Veneto” tra attese infinite e privatizzazione Le altre variabili da tenere d’occhio sono tutte in casa Lega. Sulla carta il doge Zaia, candidato capolista in tutte le province, potrebbe incassare 300mila preferenze personali e con quel malloppo in dote deciderà il suo futuro, senza ansie. Ci sono poi i candidati del generale Roberto Vannacci, uno su tutti Luca Valdegamberi: sul suo gradimento si misurerà quello del vicesegretario malsopportato dalla Lega. A fare da terzo incomodo nella corsa a due per la vetta, Forza Italia punta sul suo anti-Zaia, Flavio Tosi. Anche lui candidato in tutte le circoscrizioni, fonti azzurre parlano di un suo desiderio di tornare a guidare Verona, togliendosi lo sfizio di far volare FI con i voti dei tanti ex leghisti transitati nella sua lista. Sul fronte opposto, l’ex sindaco di Treviso Manildo spera in una onorevole sconfitta su cui costruire una difficile rinascita: superare il 30 per cento significherebbe duplicare i voti di cinque anni fa, facendolo con una coalizione che va dal Movimento 5 stelle ad Azione. «Forse serve una “descantada”», le regionali viste da Vittorio Veneto Campania Più combattuta la sfida campana. Qui, le due contese interne alle coalizioni si equivalgono: nel centrodestra Forza Italia punta alla corona di primo partito in regione, forte anche del fatto che la candidatura di Fico per il centrosinistra può spostare voti centristi verso destra. A rendere più lontana la vetta, però, è stata la candidatura di Edmondo Cirielli, viceministro, che di FdI è dirigente organico. Un civico avrebbe permesso maggiore agio competitivo, un ortodosso invece porterà inevitabilmente consensi al partito che lo ha espresso. Eppure, per il potente coordinatore regionale azzurro Fluvio Martusciello, anche un testa a testa col partito della premier sarebbe una prova di forza di tutto rispetto, utile a cementare l’egemonia di Forza Italia al Sud, dove governa già Sicilia, Calabria, Molise e Basilicata. Anche nel centrosinistra c’è qualche timore. La vittoria è considerata quasi scontata ma il nome di Fico rischia di far perdere consensi al Pd, oltre a regalare la guida della regione di De Luca a un esponente del Movimento 5 stelle, che alle passate regionali non ha superato il 10 per cento. Nelle liste di Cirielli saluti romani e negazionismo della violenza maschile: è il laboratorio campano della destra Puglia In Puglia l’esito appare scontato in favore del centrosinistra e proprio per questo la polveriera di FdI è pronta a esplodere. Il centrodestra, che qui ha candidato l’imprenditore di area azzurra Luigi Lobuono, sarà costretto a contendersi una forbice intorno al 30 per cento e il primo partito potrebbe essere proprio Forza Italia. In quest’ottica si sono mossi i suoi massimi dirigenti, approfittando delle faide interne al partito della premier. Nella regione che ha dato i natali all’ideologo conservatore Pinuccio Tatarella ma anche a Raffaele Fitto, FdI è dilaniata dal conflitto interno che si è proposto anche nella composizione delle liste. I dirigenti più scoraggiati parlano già di «una débâcle che sarà da imputare al coordinatore Maurizio Gemmato». Tutti i conti, però, si faranno a urne chiuse. Bluff su Ilva, condoni e mance: destra a caccia degli ultimi voti