Tra scandali, candidati sbagliati alle comunali e strade sempre più divergenti a livello nazionale, il centrodestra unito delle politiche del 2018 è un ricordo. Il voto alle amministrative consegna una fotografia molto diversa da quella nazionale e, proprio perché nei sondaggi l’alleanza veleggia ben sopra il 40 per cento, la sconfitta nei grandi comuni è ancora più pesante.

Milano persa al primo turno contro Beppe Sala, con il candidato Luca Bernardo inchiodato sotto il 35 per cento; Napoli consegnata al giallorosso Gaetano Manfredi, con Catello Maresca al 20 per cento; a Bologna competizione nemmeno cominciata e plebiscito per il democratico Matteo Lepore. Unici lumicini: a Roma, il “tribuno” Enrico Michetti arriva al ballottaggio da candidato da battere con il 30 per cento; a Torino, Paolo Damilano rincorre il centrosinistra con il 38 per cento. Tradotto: Milano, Napoli e Bologna sono state perse al primo turno e Torino rischia di aggiungersi, l’unica incognita rimane Roma.

Il tracollo ha due facce. Quella esterna mostra un centrodestra in enorme difficoltà rispetto ai sondaggi nazionali, determinata da una scelta sbagliata delle candidature, arrivate in ritardo rispetto ai tempi della campagna elettorale. È una bocciatura su tutta la linea del regista delle operazioni, Matteo Salvini, che da leader del partito più forte della coalizione aveva gestito il negoziato. È lui stesso ad ammetterlo, nella prima dichiarazione della giornata: senza sfiduciare i candidati (due dei quali hanno davanti ancora due settimane di campagna elettorale per i ballottaggi), ha ammesso con amarezza: «Abbiamo perso per demeriti nostri».

Milano e Roma

Ma nella lettura interna all’alleanza si fanno molti distinguo. Nella ripartizione, Milano era in quota Lega e qui si è assistito alla caduta peggiore, con il risultato più basso nella storia del centrodestra in città. Con l’onta della Lega rimasta inchiodata intorno al 12 per cento, come alle comunali del 2016, e tallonata da Fratelli d’Italia (che partiva dal 2,7 per cento).

Roma, invece, era appannaggio della romanissima Giorgia Meloni: Michetti ha conquistato il ballottaggio da candidato più votato. La delusione c’è, perché FdI si aspettava uno sfondamento nelle periferie che non c’è stato e un maggior margine in vista del secondo turno. Tuttavia la partita è ancora aperta e il tamponamento dei danni sarebbe merito di Meloni, che si è caricata sulle spalle la campagna elettorale del suo candidato al punto di oscurarlo, mettendo la propria faccia sui cartelloni elettorali.

Ai punti Meloni vince il derby per la leadership del centrodestra e lascia a Salvini l’onere di spiegare le ragioni della sconfitta complessiva. Ai margini della contesa intrasovranista festeggia Forza Italia. Il partito in crisi di consensi è però ancora abile nel gestire le partite che contano: la sua è l’unica vittoria cristallina, con l’elezione del deputato azzurro Roberto Occhiuto a presidente della regione Calabria, con più del 50 per cento.

La lezione di FI

Col senno di poi, Silvio Berlusconi era stato il primo a fiutare la mala parata. Aveva intuito che il tavolo di regia non stava funzionando e non a caso sarebbe stato lui a consigliare di sfilarsi ai due amici Guido Bertolaso e Gabriele Albertini, che all’ultimo erano stati presi in considerazione per Roma e Milano. Invece, la piccola Forza Italia ha puntato sulla partita più certa – in Calabria i candidati d’area centrosinistra erano addirittura tre – e ha portato a casa il risultato senza intoppi. Il dato politico che il centrodestra unito funzionava quando il federatore era Berlusconi, capace di mettere al centro l’alleanza rispetto alle velleità dei singoli. Secondo i moderati, infatti, a determinare il crollo non sarebbero stati gli scandali degli ultimi giorni come il caso Morisi nella Lega o quello dell’eurodeputato Carlo Fidanza in FdI, ma il fatto che l’armonia nella coalizione sia stata sacrificata nella lotta per la leadership tra i due estremismi di Salvini e Meloni.

Quel che succederà ora è incerto: difficilmente ci saranno ripercussioni immediate, anzi è probabile che le difficoltà consolidino le posizioni attuali almeno fino all’elezione del presidente della Repubblica. Incalzato al centro da Giorgetti, Salvini è sempre più ancorato al governo Draghi, in attesa di ritrovare la formula per recuperare la popolarità perduta; Meloni ferma all’opposizione. A rompersi, invece, è l’alleanza: formalmente ancora in piedi ma nei fatti sfilacciata e senza leader. Alle porte c’è anche la resa dei conti interna alla Lega, in attesa di capire le prossime mosse di Meloni.

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