C’è qualcosa che non torna, almeno restando alle apparenze, nel confronto fra Enrico Letta e Giorgia Meloni al Corriere.it di lunedì sera. Al minuto 37 lei recita un numero che i suoi le hanno consigliato, sicuri di assestare un colpo all’avversario.

«Mi piacerebbe sapere cosa pensa Letta, che per la verità applaudiva», dice puntando la fronte verso l’interlocutore e guardando dal basso in alto, effetto capocciata metaforica, «delle parole scandalose del governatore della Puglia, che diceva che la Puglia è la Stalingrado d’Italia e che noi dobbiamo sputare sangue», «Sono passate 24 ore e ancora non si è dissociato».

L’episodio a cui si riferisce risale all’11 settembre, la giornata in cui è stata presentata la Carta di Taranto alla presenza dei «cacicchi» – copyright Massimo D’Alema – Michele Emiliano e Vincenzo De Luca, presidenti di Puglia e Campania. Nella città dell’ex Ilva, e del sindaco giallorosso Rinaldo Melucci, il Pd ha lanciato un Manifesto per il Sud e per le isole come parte di un programma nazionale che prevede l’assunzione di 900mila dipendenti pubblici.

Quando tocca a lui, Letta ignora l’accusa di aver applaudito quella che sui social passerà come «una minaccia» di Emiliano, e replica nel merito delle assunzioni. Si tratta di una misura, dice, «non esclusivamente legata al Sud», spiega, «dal blocco del turnover di Tremonti, la pubblica amministrazione è tutta invecchiata, ed ora sta per andare in pensione. La nostra proposta è di sostituirla con giovani in grado di gestire il Pnrr».

La questione finisce lì, Meloni insoddisfatta lascia cadere. La leader Fdi si era fatta impressionare dalla espressione colorita, quello «sputare sangue» descritto come dalla destra come un «attacco violento», anche se secondo il De Mauro significa solo «impegnarsi, affaticarsi molto in qualcosa».

Letteralmente il presidente dice infatti: «Assieme alla Campania, saremo una sorta di Stalingrado, da qui non passeranno qualunque cosa dovesse succedere, noi non abbandoneremo mai il campo, sputeranno sangue per cambiare quello che siamo riusciti a cambiare in questa regione, comunque vadano le elezioni». Anche la citazione della vittoria sovietica contro i nazisti fa scatenare la destra sui social. Dai quali peraltro piovono notizie dello stile “sovietico” della campagna elettorale del Pd locale.

Meloni in realtà crede di aver a che fare semplicemente con i toni pulp dovuti allo scontro per i collegi che il Pd affronta al sud, dove Letta pensa di poter vincere chiamando a raccolta tutti gli incerti.

Collegi in bilico

È il caso di Napoli centro al Senato (Valeria Valente contro l’ex presidente della regione Stefano Caldoro), ma anche di Casoria, Napoli Giuliano, Napoli Acerra, e in Sardegna Cagliari e Sassari, dove i Cinque stelle sono praticamente fuori gioco. Diversi però sono alcuni collegi pugliesi, e diverso sono i casi di Bari e Molfetta.

La destra non ha orecchie per cogliere il vero senso di una parte del comizio di Emiliano, e se le avesse di questo dovrebbe preoccuparsi. Precisamente quando il presidente chiede un voto per il suo Pd ma lascia capire che non sarà una tragedia se qualcuno votasse M5s, che nella regione di Giuseppe Conte ha la sua ultima roccaforte. Concetto che poi ripete apertis verbis al Fatto quotidiano: «Io voterò Pd ma in Puglia amministro con i Cinque stelle quindi ai miei devo dire: scegliete collegio per collegio il candidato migliore cercando di far confluire i voti su uno solo, che sia il Pd o i Cinque stelle non importa».

Visto lo scontro sempre più ruvido fra Letta e Conte, stupisce che il segretario Pd non smentisca il presidente. E invece non si ha notizia di malumore al Nazareno. La ragione risiederebbe in un sondaggio effettuato fra l’8 e il 9 settembre nella regione, e di cui dal 10 non si può più dare notizia se non per sommi capi e senza cifre.

Fotografa una Puglia tripolare, con M5s, Pd e FdI vicini e molto avanti rispetto agli altri partiti. E la Lega molto al di sotto della media nazionale. Il presidente dunque non propone la “desistenza” fra Pd e M5s, che la legge elettorale non consente, ma invita a ragionare collegio per collegio su chi può effettivamente fermare la destra.

Del resto se c’è una cosa che Letta non riesce a perdonare a Giuseppe Conte è proprio di non aver capito che con il governo Draghi le percentuali della Lega si stavano inabissando. Alle ultime amministrative al Sud era quasi scomparsa e aveva perso molte città persino del nord a vantaggio di FdI: dalla Liguria (Genova) al Piemonte (Alessandria e Asti), al Veneto (Verona, Padova), fino alla Lombardia (Como).

«Conte ha aperto una crisi sull’onda dell’insuccesso grillino del primo turno delle amministrative», spiega un deputato vicino al segretario Pd, «e invece il dato eclatante era l’emorragia della Lega. La “non fiducia” dei Cinque stelle ha rianimato il Carroccio morente». Una mossa imperdonabile appunto, a livello nazionale. Ma meglio salvare il salvabile: e così il presidente pugliese pragmaticamente ha indicato una strada per non consegnare la sua regione a Giorgia Meloni.

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