La regola aurea delle molte vittorie di Michele Emiliano è «più siamo meglio è».

Ne conseguono corollari a volte scomodi per i suoi: ogni tanto imbarca anche dal fronte degli avversari. È il pontiere numero uno fra Pd e M5s. Ma si capisce: nella sua regione governa anche con i grillini. Imbarcherebbe anche Azione e Italia viva, che però lo considerano la quintessenza del populismo grillopiddino.

Ma il suo ragionamento è: nel paese le forze progressiste sono «già la maggioranza», spetta al futuro segretario del Pd rimettere insieme tutto il campo.

Presidente Emiliano, il Pd è il secondo partito del paese, ma ha preso poco più del 19 per cento dei consensi. E ora rischia di implodere per le divisioni interne, principalmente fra chi pensa che bisogna ricostruire un’alleanza con i Cinque stelle e chi invece con il polo di Renzi e Calenda. Lei crede che un congresso possa davvero risolvere queste differenze che sembrano, al momento, irriducibili?

Un congresso serve a ricostruire le ragioni dello stare insieme. E stare insieme non vuol dire pensarla necessariamente tutti alla stessa maniera. È evidente che comporre un largo fronte contro le destre è molto importante ed è altrettanto evidente che più siamo meglio è. Ed ha anche una sua evidenza che senza il M5s una larga alleanza contro le destre non è credibile.

In questo momento, ad ascoltarli, i Cinque stelle sembrano ormai lontanissimi da voi.

Ma d’altra parte la maturazione del movimento, anche grazie alla guida di Giuseppe Conte, è davanti agli occhi di tutti. Limiti e opportunità si oppongono, e creano difficoltà, a chiunque debba prendere decisioni. Ma sono cose connaturate all’attività politica. Se le decisioni verranno prese sulla base di programmi condivisi e ascoltando i cittadini sarà molto difficile sbagliare.

Vede, qui in Puglia, pur di stare insieme e di creare un’alleanza umana e politica, abbiamo deciso di accettare in maggioranza il M5s, dopo le elezioni che abbiamo vinto contro di loro e contro Calenda e Renzi. E io mi sono dichiarato disponibile anche oggi a inserire in maggioranza Azione e Italia viva, nonostante l’ostilità ancora molto forte di Renzi e Calenda nei miei confronti. La politica, e la democrazia, si fanno superando le divisioni del passato. Qualunque sia stata la gravità delle contrapposizioni.

Eppure Conte ha usato parole durissime contro Letta. Crede che cambierà atteggiamento verso un diverso segretario del Pd?

Durante una campagna elettorale prima della quale è sfumata un’alleanza fino a pochi giorni prima considerata strategica da entrambi, è fisiologico che i toni si alzino. E che si crei una contrapposizione tra leader impegnati, entrambi, a conquistare il massimo risultato. Ma adesso la campagna elettorale è finita. Ho già verificato che le dichiarazioni di Conte e di Letta cominciano ad ammorbidirsi.

La missione della nuova leadership del Pd sarà quella di realizzare il suo compito storico, che è quello di mettere insieme tutte le forze progressiste che sono già la maggioranza nel nostro paese. E come già avviene nel resto di Europa. Sia in Francia che in Germania, per esempio, il centrosinistra e i centristi tendono, nonostante le loro differenze, a contrapporsi uniti alle destre neofasciste e neonaziste.

Nel 2018 il Pd di Renzi prese il 18 per cento. Nel 2022 il Pd di Letta prende poco più, il 19: due segretari così diversi, e anche diversi rispetto alle alleanze. Cosa significa?

La coalizione di centrosinistra con Letta ha preso il 26,13 per cento. E questo è un punto di partenza molto rilevante perché almeno, rispetto al passato, adesso abbiamo unito tutto il fronte tradizionale della sinistra. E abbiamo reagito alle scissioni di Calenda e Renzi che, voglio ricordarlo, sono usciti dal Pd danneggiandone inevitabilmente il risultato finale.

Con loro in squadra avremmo avuto un risultato migliore. E siccome entrambi debbono tutto alla comunità del Partito democratico, mi lasci dire che sono particolarmente amareggiato. Ciò non toglie che in ogni partito progressista del mondo è assolutamente fisiologico che a un’area più radicale e di sinistra si accompagni un’area più legata alle regole del mercato e alle imprese.

Sta all’abilità di ciascun leader politico trovare una sintesi equilibrata a tutela delle ragioni del lavoro, sia esso dipendente o di impresa, che non dimentichi la solidarietà dei più ricchi rispetto ai più poveri e che realizzi un’eguaglianza sociale basata sulla soddisfazione dei bisogni essenziali ma anche sul merito di ciascuno.

Insomma, secondo lei l’alleanza con i Cinque stelle è indispensabile?

Un campo largo progressista ha bisogno di tutti, in particolare del primo partito del sud e terzo partito d’Italia. Quindi la risposta è affermativa.

Eppure sembra chiaro che i Cinque stelle sono resuscitati dalla loro crisi proprio perché hanno rotto con il Pd e hanno puntato sul ritorno alla loro identità autonoma. Questo non significa che di fatto l’alleanza eventuale con il Pd resterebbe sempre fragile?

Il Movimento 5 stelle non mi è parso assolutamente ostile al Pd. Direi piuttosto che ha avuto un problema di rapporto con il governo di Mario Draghi, che lo obbligava a tenere sulla questione della guerra e sulla questione della tutela dell’ambiente posizioni davvero difficili da digerire. Quando hanno provato a far presente all’opinione pubblica il loro dissenso sono stati oggetto di una campagna concentrica culminata nella scissione di Di Maio.

Una scissione che evidentemente mirava a dissolverli. A questo disegno il Pd non ha saputo opporsi. Anzi, forse ha anche sperato di trarne un vantaggio. In futuro dobbiamo lavorare a una alleanza che crei fiducia reciproca totale, sulla base di programmi chiari e sottoscritti.

Anche nella sua Puglia la destra ha vinto quasi ovunque nei collegi. Cosa è mancato al Pd? Cosa avete sbagliato?

Non è così. La destra non ha affatto vinto in Puglia, ha preso solo il 41 per cento dei voti. Mentre la maggioranza politica che governa la regione arriva sino a quasi il 55 per cento, sommando i voti presi. Solo a causa della mancata alleanza nel fronte progressista la destra si è avvalsa anche qui dell’effetto maggioritario dei collegi, che ha conquistato grazie alle nostre divisioni. In nessun collegio la destra è maggioranza politica.

Tutti i dirigenti del Pd, in un modo o nell’altro, ora dicono che il partito deve cambiare. Ma il come non è sempre esplicitato. Come deve cambiare, secondo lei?

Il Pd è una comunità di persone libere e pensanti. E dunque evolve continuamente, ragiona, sbaglia, impara dagli errori e poi si ripropone sempre come il punto di riferimento dell’Italia che vuole lavorare, studiare, lottare contro mafie e malaffare, e che ha la migliore classe dirigente negli enti locali, che sono quelli che determinano l’effettiva qualità della vita delle persone.

Bisogna avere fiducia in noi stessi e nella nostra capacità di rispondere alla sfida che oggi la destra più estremista lancia all’Italia e all’Europa. Dobbiamo essere più vicini alla gente e più bravi di prima nel risolvere i problemi della vita quotidiana. E bisogna farlo per davvero questa volta.

I Cinque stelle vincono al sud grazie alla bandiera del reddito di cittadinanza?

Mi pare una lettura assolutamente superficiale, perché anche il Pd ha difeso il reddito di cittadinanza che peraltro è una misura prescritta dall’Unione europea e presente in tutti i paesi dell’Unione. Come tutti gli ammortizzatori universali, può essere sicuramente migliorato, ma la lotta alla povertà e alla deprivazione deve continuare. Insieme a un forte incremento dell’occupazione e del ciclo economico.

La verità però è un’altra: al sud il M5s vince perché interpreta la tutela dei più deboli e la difesa del Mezzogiorno. Voglio ricordare che Pd e M5s al governo hanno introdotto una decontribuzione fiscale sul lavoro al sud che ha abbassato il costo del lavoro e reso più competitive le imprese del Mezzogiorno, e questa decontribuzione ha ottenuto l’autorizzazione da parte dell’Unione europea. Ora va resa permanente.

La formazione del governo di destra fin qui non sembra una passeggiata di salute per Giorgia Meloni, che deve comporre le molte contraddizioni dell’alleanza della destra. C’è però il rischio che governino a lungo e serenamente grazie alle divisioni delle opposizioni?

La destra ha una classe dirigente scarsa numericamente e anche inesperta dal punto di vista qualitativo e delle competenze. Dovremo fare un’opposizione di governo e non ostruzionistica, dobbiamo mettere il governo davanti a evidenze così insuperabili da costringerlo ad accogliere i nostri suggerimenti.

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