I sindacati sono arrabbiati, Eni ha deciso di chiudere l’impianto petrolchimico Versalis di Porto Marghera nel 2022 con la promessa di tagliare drasticamente le emissioni di CO2 con le nuove attività che lancerà. Davide Camuccio, segretario generale della Filctem-Cgil di Venezia, vede un’altra prospettiva: «Vogliono chiudere un pezzo della chimica italiana per farci diventare un deposito» di prodotti ugualmente inquinanti: «Vogliono fare un parco criogenico di Gpl (gas di petrolio liquefatto) - tre maxi serbatoi - più un deposito per i prodotti che produciamo qui» modificando quelli dell’impianto esistente. Mentre infatti adesso il “cracking” di Versalis produce etilene e propilene dalla virgin-nafta, un prodotto della raffinazione del petrolio, dovrà vederli arrivare da altri impianti o li importerà. L’amministratore delegato Claudio Descalzi ha incontrato il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, il mese scorso per comunicarglielo. I principali destinatari infatti sono altri due industrie di Eni a Ferrara e Mantova, che necessitano di queste materie prime per creare oggetti in plastica, industrie direttamente collegate all’impianto di Marghera.

Il calcolo

«Se sono fondamentali che senso ha smettere di produrli e portarli da un’altra parte?» accusa Camuccio. I sindacati prima che al risvolto ambientale, guardano a quello lavorativo: «Secondo il calcolo che abbiamo fatto, ammesso che realizzino tutti i progetti che vogliono mettere in campo, ci troveremmo con 345 occupati invece di 387». Non solo, il calcolo, specifica il sindacalista, il calcolo tira in ballo accordi più vecchi già disattesi. Marghera è famosa perché nel 2014 a Venezia Eni ha avviato «la prima bioraffineria al mondo riconvertita da raffineria tradizionale», una trasformazione che ha portato a una drastica riduzione di manodopera necessaria, comunque riassorbita in vario modo, inclusi però i prepensionamenti. Già all’epoca si parlava di Gpl, che nei disegni di Eni dovrebbe occupare 18 persone: «Ma si tratta sempre del pacchetto del 2012, questo progetto era stato abbandonato nel 2015. Adesso ci dicono che lo vorrebbero rifare». Il 17 marzo, subito dopo il primo incontro con sindacati, Eni ha pubblicato una posizione ufficiale. Del Gpl non c’è traccia. Contattati da domani rispondono: «Stiamo finalizzando il progetto».

Il progetto Eni

Il progetto, così come reso noto da Eni, prevede la realizzazione, entro il 2024, di un nuovo impianto Versalis per la produzione di “alcool isopropilico”, usato nella farmaceutica, nelle produzioni di disinfettanti e nella cosmesi. In un’area dell’ex petrolchimico Eni Rewind, società ambientale di Eni, «realizzerà l’impianto Waste to Fuel che produrrà bio-olio destinato al settore navale o utilizzato come biocarburante» dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani. Si parla dei lavori necessari per il mantenimento «degli impianti di Mantova e Ferrara» ed è inoltre «allo studio la creazione del primo polo dedicato al riciclo meccanico avanzato delle plastiche il cui sviluppo è uno dei pilastri della strategia di Versalis».

Camuccio è scettico anche su questo: «Ma io sono andato su internet a vederlo questo riciclo meccanico. Triturano la plastica. Per ora nel polo ci sono operai specializzati, è tutta un’altra cosa, dal punto di vista del lavoro e forse anche della retribuzione».

L’immancabile idrogeno blu

«Abbiamo sviluppato un piano di investimenti e tempistiche per ogni singolo progetto, che nelle prossime settimane presenteremo a livello nazionale e locale», risponde ancora l’ufficio stampa a Domani. Nella decarbonizzazione di Eni si trova anche il metano. Eni infatti, come ha avuto modo di ripetere più volte l’amministratore delegato della società, punta moltissimo sull’idrogeno blu, un modo elegante per definire l’idrogeno prodotto però da una fonte fossile. si legge sul sito Eni. E proprio qui Eni è già pronta a convertire l’ultima parte che produce benzine in un impianto che produrrà idrogeno dal gas fossile. «Il piano finora delineato – si legge ancora nella posizione – punta ad aumentare la capacità della bioraffineria, grazie al nuovo impianto per la produzione di idrogeno da gas metano». La bioraffineria sarà però «palm oil free entro il 2023». Senza olio di palma, ma con il metano.

La nota congiunta

L’allarme lavorativo è arrivato anche ai piani alti delle sigle. Dopo il secondo incontro tra i sindacati e la società la settimana scorsa, i sindacati hanno pubblicato un comunicato congiunto: «Con la decisione di chiudere entro il 2022 Eni ha messo sul tavolo progetti di investimento e ammodernamento non sufficienti e in parte già definiti in precedenti accordi, alcuni dei quali avrebbero dovuto essere attuati sei anni fa - scrivono i segretari generali di Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil, rispettivamente Marco Falcinelli, Nora Garofalo, Paolo Pirani. A preoccupare è anche lo slittamento delle date: «Non è accettabile chiudere gli impianti in attesa di una riconversione che, nella migliore delle ipotesi, vedrebbe i primi risultati solo a partire dal 2024». Sul progetto, inoltre, «pesano incertezze relative alla completa salvaguardia occupazionale, sia dei dipendenti diretti che dell’indotto, e la poca chiarezza riguardo ad alcune parti, come l’ipotizzata piattaforma di riciclo plastiche». Adesso chiedono di incontrare con urgenza il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti: «Per l’apertura di un confronto nazionale con Eni sulla chimica di base».

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