Un incontro di cortesia istituzionale, come ha fatto con altri leader, quello di ieri fra Enrico Letta e Giorgia Meloni. Ma non così formale. La presidente di Fratelli d’Italia vuole per il suo partito il Copasir, che spetta all’opposizione per disposizione di legge. Ma la Lega si oppone a lasciarle il passo. E così Letta ha promesso di affrontare la questione con gli alleati di governo. Il Pd potrebbe essere determinante per dare un dispiacere a Matteo Salvini. Diversa la situazione dell’altra commissione di garanzia, la Vigilanza Rai, che va alle opposizioni solo per prassi. Eppure Letta, all’uscita, ha riferito di aver discusso di «commissioni».

Ma la giornata di ieri per il segretario dem è quella di un altro risultato incassato. Dopo l’elezione della senatrice Simona Malpezzi, Debora Serracchiani è eletta presidente dei deputati Pd con 66 voti (circa il 70 per cento) contro i 24 di Marianna Madia. Un risultato prevedibile, che però arriva dopo giorni di schermaglie fra le due. Tanto che ieri mattina Letta, su Corriere Tv, ha dovuto difendersi dall’accusa di aver concesso alle correnti di eleggersi le proprie candidate, ancorché donne come da sua indicazione. «Serracchiani e Madia son due persone libere e tutt’altro che ascrivibili a questa o a quella corrente», ha assicurato, «È un passaggio complicato, il confronto è naturale, ma userei toni meno forti». Il riferimento è a Madia che ha accusato la collega di aver accettato una «cooptazione mascherata».

Accuse intemperanti, e persino qualche venatura grillina che anziché farle aumentare i voti – orlandiani, zingarettiani e giovani turchi ma in ordine sparso – hanno rischiato di fargliene perdere qualcuno. Madia è stata vicina alle correnti dei segretari, da Veltroni a Zingaretti, fatto non del tutto estraneo alla sua nomina a ministra con i governi Renzi e poi Gentiloni. Madia non è nuova a j’accuse, come quando nel 2014 in pieno Transatlantico spiegò ai cronisti divertiti – per il linguaggio più che per la rivelazione – che «facendo le primarie dei parlamentari ho visto delle vere e proprie piccole associazioni a delinquere sul territorio».

Nelle urne ha vinto Debora Serracchiani, donna dal cursus honorum di tutto rispetto (da consigliera circoscrizionale di Udine a eurodeputata, presidente del Friuli, vicesegretaria di Renzi e vicepresidente di Zingaretti) vicina al capogruppo uscente Graziano Delrio, che poi ringrazia come guida «saggia e autorevole». L’ha aiutata l’accordo stretto con Areadem (Franceschini) e Base riformista per la successiva nomina di uno dei vice, Piero De Luca, figlio d’arte (Vincenzo, il padre, è il potente presidente della Campania).

Ieri, prima delle urne, le due candidate hanno inviato una lettera ai 90 colleghi elettori. Fattiva, Serracchiani ha parlato di «rafforzamento del parlamentare» e promesso di battersi contro «l’eccessiva compressione dei nostri spazi dovuta a maxiemendamenti, eccesso di voti di fiducia e lo sbocco in un monocameralismo di fatto». Promesse con ancora qualche manciata polemica quelle di Madia: «Il nostro gruppo non può darsi un ruolo marginale», «sosterremo il governo Draghi con il massimo impegno. Ma non facciamoci schiacciare dalla logica governista». Letta porta a casa il risultato: «Sembrava impossibile dieci giorni fa», dice, «ora ci siamo», le due nuove presidenti sono «brave e competenti». Resta agli atti un malumore dell’area della sinistra del Pd, zingarettiana e orlandiana, ma in minoranza, come del resto con la precedente segreteria.

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