«A due giorni dal voto non parlo del dopo. Regola aurea», ha detto ieri al nostro giornale Enrico Letta. Quasi tutti i dirigenti Pd hanno fatto lo stesso. Ma nel partito si percepisce la quiete prima della tempesta. Il segretario è il leader che si gioca di più nel voto. Persino più del leghista Salvini, che almeno ha un partito che ha dimostrato una disciplina impensabile negli avversari; e figuriamoci nel Pd.

Come da tradizione della casa, se il risultato non sarà smagliante, tutto finirà sul conto del segretario in carica. Che invece ha affrontato una campagna elettorale con un carico di penalties: la corsa è partita in anticipo per iniziativa dell’ex alleato grillino, che con un colpo ha affossato il governo e spaccato il «campo largo». L’alleanza con Carlo Calenda è durata l’espace dun matin. In pochi giorni, del progetto del nuovo centrosinistra sono rimaste giusto le forze minori, i rossoverdi, Più Europa e il canotto dimaiano. Grazie a loro il risultato del centrosinistra potrà essere letto come una somma.

Ma se l’asticella del Pd non arriverà qualche punto sopra quel 18 per cento renziano che Letta definisce «il nostro minimo storico», partirà lo sport preferito: il tiro al segretario. Se Letta resterà al suo posto – c’è chi giura che lo farà – verranno alla luce le critiche di chi già sussurra contro la «polarizzazione», il rosso contro il nero, l’«allarme democratico», il disconoscimento del jobs act. La sinistra interna si dispone a proteggerlo almeno fino al congresso di marzo. Però chiede di riallacciare i rapporti con M5s: ma Conte, per vendetta, avverte che non si siederà più a un tavolo con il Pd finché ci sarà Letta a capotavola. L’area riformista gli contesterà di aver fatto fuggire Calenda in cambio di Fratoianni e già si dispone a un appoggio discreto del presidente emiliano Bonaccini, che nel frattempo ha tessuto una rete di sindaci progressisti. Letta ripete, come per autoconvincersi, che la sua vittoria già incassata è aver unito un partito diviso, come nella fotografia impietosa che ne fece Zingaretti dimettendosi. C’è il rischio che unito sia, ma contro di lui.

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