Prima l’appuntamento era «a dopo Pasqua». Poi è successo quello che è successo: la morte di Francesco, l’evento mondiale delle esequie, la marea del popolo bergogliano, le preghiere i rosari le veglie. E ora l’attesa del nuovo papa. Che può cambiare l’agenda del mondo, della pace e della guerra, della chiesa, dei fedeli. E via scendendo della politica nostrana: e come potrebbe non impattare sul reparto maternità della “Cosa bianca”?

Ricapitoliamo: ante Pasqua era in corso un movimento lento per arrivare, di convegno in convegno, a una “cosa”, un partito dei cattolici, o un partito moderato, o una rete di sindaci di buona volontà. Qualcosa, purché di centro, purché ispirato al cattolicesimo democratico, e disponibile a unirsi al centrosinistra.

Alla guida il predestinato è Ernesto Maria Ruffini, l’ex direttore dell’Agenzia delle entrate, che però fin qui anziché il grande passo in politica ha fatto un libro, un manifesto dell’impegno sociale collettivo, titolo Più uno (Feltrinelli) perché, scrive lui, «l’unico modo di andare avanti è farlo insieme. Ogni giorno, più uno». Ai più però è parso un «meno uno»: il segnale che resta in attesa gli eventi. Tanto più che nel frattempo è diventato socio dello studio Falsitta, trasformatosi in Falsitta-Ruffini, team di avvocati e commercialisti esperti in questioni tributarie.

C’è chi assicura che il passo professionale non cambia niente ai fini delle scelte politiche. Tant’è che le conclusioni dell’ultimo seminario a cui ha partecipato, organizzato il 3 aprile a Roma dall’associazione Tempi nuovi-Popolari uniti (Beppe Fioroni, Lucio D’Ubaldo e altri «amici»), sono state un «appello ai cattolici democratici» per l’avvio di un lavoro «alla costituente di un progetto nuovo».

In questi giorni però siamo all’omnes siste: tutti si fermino. Dalla morte di Bergoglio le cose sono cambiate. Oggettivamente, e fatalmente. Per i cattolici italiani di ogni parrocchia, anche politica, il tema all’ordine del giorno è diventato il lascito del papa. Alle esequie, persino il prudente cardinale Re ha chiarito che qualsiasi impegno ispirato a Francesco deve essere un impegno radicale: contro la guerra, per i migranti, per gli ultimi. In suo nome si può fare tutto, tranne che un partito moderato.

Incarico esplorativo a Oliverio

Ora gli amici di Ruffini sono in raccoglimento, in attesa della fumata bianca, non solo quella del camino della Sala Regia del Vaticano. Ma l’avvocato ha spiegato, in quel suo parlare chiaro senza essere chiaro del tutto, che per quest’anno, il 2025, girerà l’Italia per presentare il suo libro. Un lavoro politico, dice: saranno occasioni «per ascoltare i territori», cioè capire l’aria che tira.

Però, ha assicurato, non è un time-out della partita della “cosa bianca”: nel frattempo ha affidato un «incarico esplorativo» a Nicodemo Oliverio, ex Dc, già braccio destro di Franco Marini, suo uomo-macchina ai tempi dell’Ulivo, e prima segretario organizzativo della Margherita. L’ex deputato Pd è un profondo conoscitore dei precordi dei suoi democristiani, quelli organizzati, quelli della diaspora, quelli nel Pd. Toccherà a lui fare le opportune «verifiche». Innanzitutto con il variegato mondo dem. Per capire, primo: se è vero che la segretaria Elly Schlein è poco amichevole verso la nascita di una lista di cattolici democratici, che ruberebbe qualche voto al Pd. Secondo, anzi primo a pari merito: se qualche personalità cattolica democratica, dopo tante parole e troppe omissioni, ha intenzione di uscire dal partito per spostarsi nella nuova trincea. Su questo gli amici, che la sanno lunga, nutrono dubbi. Farebbe la differenza. Ma è l’ora della verità.

C’è chi ragiona: «Solo se rompe Castagnetti riusciamo a fare qualcosa di significativo». Di Pierluigi Castagnetti si conoscono le insofferenze ma anche la scarsa propensione allo strappo. Graziano Delrio ha già chiarito che «il mio impegno è nel Pd». Poi c’è Paolo Gentiloni, che nei conversari privati ipotizza: ma non ci crede nessuno. Comunque, la morale è: il tempo non stringe – al voto si andrà nel 2027 – ma logora, anche un papa già proclamato come Ruffini. Chiedere lumi a Lucio D’Ubaldo, che per non rispondere cita San Paolo, lettera ai Romani, 13,2. In latino: «Hora est iam nos de somno surgere». Il senso è chiarissimo: è tempo di darsi una svegliata.

Francesco e francescanissimi

E poi c’è Demos, il piccolo partito che ha preso il largo dalla Comunità di Sant’Egidio, guidato da Paolo Ciani, deputato indipendente nel Pd. Per la prossima settimana Ciani aveva organizzato una presentazione di Più uno a Torino. La morte di Francesco ha fatto saltare tutto. Se ne riparla nella seconda metà di maggio, perché ogni buon cristiano sa che non è il caso di organizzare eventi nei giorni in cui può essere eletto il nuovo pontefice. Il tentativo di Demos è più chiaro ma non meno complicato: «collegarsi» a personalità e associazioni unite dalla pastorale bergogliana. Dall’europarlamentare Marco Tarquinio a Angelo Chiorazzo, presidente di Basilicata Casa Comune, al sindaco di Udine Alberto Felice De Toni, a Stefania Proietti la francescanissima (nel senso di san Francesco) presidente umbra. L’obiettivo è una lista civica nazionale, viene spiegato, «della morale e del sociale», della Costituzione e della democrazia, radicalissima e bergoglianissima, «il vero partito della Laudato si’ e della Fratelli tutti». A Schlein l’idea non piace: i pacifisti di Demos se li vuole tenere a casa, portano voti e le servono a bilanciare i riarmisti. Ma alla fine, se fosse, darebbe la sua benedizione.

Ma è possibile che il mite Ruffini abbandoni la compagnia degli amici Dc per tuffarsi nei flutti del radicalismo post bergogliano? Difficile. E che la segretaria si rassegni alla nascita di una “cosa” pacifista, poi ora che i sondaggi vanno giù? Molto difficile. E che qualche big riformista, più o meno cattolico, lasci la comfort zone Pd per l’incognita di un partitino nuovo? Molto molto difficile, «extra Ecclesiam nulla salus».

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