«Rendere permanente il Next Generation Ue», «riforma del patto di stabilità», «armonizzazione fiscale a livello europeo», «far sì che a livello europeo si apra dossier su come gestire il debito Covid» e infine «superare i veti nazionali su alcune grandi questioni», anche perché i veti «quando vengono messi, sono sempre contro di noi» come è successo con l’Ungheria e la Polonia sul Next Generation Eu. Il segretario del Pd Enrico Letta squaderna quelli che per lui sono i prossimi impegni dell’Italia a Bruxelles. La sua road map coincide con quella di Mario Draghi. E fin qui non ci sarebbe nulla di strano se a discutere, da convinzioni rocciosamente opposte, non ci fosse, Matteo Salvini, altro leader di un partito che sostiene Draghi e che fino a un mese fa si definiva fieramente «sovranista». Il territorio è neutro tendenza europeista: siamo alla presentazione online del Rapporto Annuale dell’Ispi (l’Istituto per gli studi di politica internazionale) intitolato «Il mondo al tempo del Covid: l’ora dell'Europa?» a cura di Alessandro Colombo, e del direttore dell’istituto Paolo Magri. Conduce le danze l’ex ambasciatore Giampietro Massolo, presidente di Ispi.  E’ subito match. I due leader politici iniziano subito a pizzicarsi. Letta si dice contento che Salvini sia diventato europeista «anche se con una inversione a U». Salvini chiede di guardare avanti: «Letta si dice contento di avere al tavolo Matteo Salvini con l'etichetta di ‘sovranista'. Io saluto Letta con l’etichetta ‘europeista’, ma se ci leviamo le etichette dalla giacca dico che magari qualcosa la costruiamo». Letta ironizza: «Mi dichiaro anche io sovranista, ma sovranista europeo. L’unico modo per noi per giocarsela con le superpotenze». E saluta con favore l’ipotesi che la Lega di Salvini entri del Ppe.  Replica di Salvini: «Letta dice che se la Lega entra nel Ppe è una buona cosa. Se si devono dare patenti di democrazia non si fa un buon servizio. L'Europa si fonda sulla libertà e sul voto dei cittadini, non sulle scelte etiche e morale, sarebbe problematico». Poi rilancia: «Non chiediamo a nessuno di fare il mea culpa, ma non si può far finta che gli errori non ci siano stati».

C’è anche Emma Bonino, storica leader radicale, europeista da sempre e grande elettrice di Draghi. «L’Europa ha fatto bene  sul piano politico bene Europa, ma non su quello  sanitario. I ventisette paesi avanzati non sono stati in grado di reggere il confronto con nessuno dei grandi attori globali. Siamo ridotti a chiedere aiuto agli americani, a litigare con la Gran Bretagna, e a oggi non siamo in grado di somministrare i vaccini in modo efficace. La parte sanitaria va rivista» ma «evitando lo scaricabarile sulla commissione. Guardiamo ai morti: in Italia è come se cadessero due aerei al giorno ma è come ci fossimo assuefatti ai colori». «L’Europa della salute è il prossimo passo necessario ma non è sufficiente», ammette Letta, «L’integrazione sociale e sanitaria si è bloccata per via dei veti degli scorsi anni della Gran Bretagna. Serve un coordinamento più avanzato anche sull’industria della salute».

Ma Salvini vuole mettere in chiaro altri temi: «Non sono fra quelli che dicono più Europa o meno Europa, ma chiedo: quale Europa?». I fallimenti europei, ragiona, non dipendono solo dai veti della Gran Bretagna, «se abbiamo dovuto sospendere il patto di stabilità vuol dire che era governato da regole che impedivano il pieno sviluppo dei valori». Dunque più Europa per alcuni temi, meno Europa su altri: «Il futuro di Alitalia in mano alla commissione non è al passo con i tempi, e serve un decentramento sulla Bolkestein o sul Nutri-score (un discusso sistema di etichettatura dei prodotti alimentari, ndr)». Bonino non lascia cadere il tema: «Io sono a favore della Bolkestein, un minimo di concorrenza serve, così come spero che l’Europa ci aiuti a non buttare via ennesimo di soldi in Alitalia». 

Salvini non cede, si appella all’«europeismo pragmatico» di Draghi: «Cooperare non è un fine ma un mezzo, il Recovery plan va bene ma occorre farlo con intelligenza», «Più di metà del mondo vaccinata con vaccino russo e cinese, l’Europa come vuole porsi?». La risposta è che bisognerebbe combattere, ma non sul fronte opposto all’Unione: «Ora che i britannici non sono più in Europa dobbiamo procedere verso l’armonizzazione fiscale, e l’abbattimento dei tre paradisi fiscali, se non c’è un fisco europeo, le nostre imprese faticano». Insomma l’Italia gioca un ruolo importante, ma – per per dirla alla Salvini –  quale Italia? I due alleati faticano a trovare un terreno comune. «Il successo del governo Draghi gioca un ruolo fondamentale per rendere permanente lo strumento Next Generation Eu. Indebitamento comune e tassazione giganti hi-tech possono creare la capacità di reggere urto dei cinesi e degli americani», insiste il leader Pd. «Se vinciamo la partita di rendere permanente il Next Generation Eu e quella di un patto di stabilità del futuro costruito non su criteri esclusivamente finanziari ma sulla sostenibilita sociale e ambientale, avremo messo in sicurezza il paese per i prossimi vent’anni», «Il nostro approccio è europeismo coerente. Se Salvini dice che è pronto a lottare contro i veti e per l’Europa della salute per me è positivo». Salvini non regge più la parte dell’europeista: la sua Unione è tutto un fallimento, e chi è uscito ora sta meglio: «Oggi la Gran Bretagna vince la battaglia dei vaccini», conclude, «la coerenza di ripetere l’errore è autolesionimo, l’Europa ha sbagliato sulla politica estera, quella della difesa, sulla salute, sull’immigrazione, sugli aiuti di stato e anche su chi deve gestire una spiaggia». Non è quello che pensa Emma Bonino, che da europeista convintissima deve però avvertire: «L’esperienza della pandemia ci ha dimostrato che molti settori non possono reggersi solo sul coordinamento. Il progetto di integrazione ne esce ammaccato se si dimostra che se si va da soli si fa meglio». Più Europa o meno Europa, nel governo di Draghi c’è di tutto. 

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