«Siamo vaccinati dal 25 aprile». Di fronte alla piazza San Giovanni riempita come da anni non si vedeva, “Mai più fascismi”, in risposta all’assalto alla sede Cgil di una settimana fa, è il leader Maurizio Landini a dare il tono della giornata a partire dalla richiesta di scioglimento delle forze «che si richiamano al fascismo e usano la violenza», richiesta al governo, «atti concreti, non chiacchiere».

Ma lo slogan più bello è quello della Uil, questo “siamo vaccinati dal 25 aprile” che campeggia sulle pettorine blu, e risponde al dubbio se i sindacati, con le loro richieste di tamponi gratis, non stiano lisciando il pelo ai No-vax. La risposta è questa piazza: Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, è in giacca e cravatta rossa, prima volta a un comizio di queste dimensioni, dress code significativo per un capo dei lavoratori, ex capo dei metalmeccanici. E il messaggio è chiaro: se il temuto «venerdì nero» dell’inizio obbligo di green pass sui luoghi di lavoro è andato meglio del previsto è perché i sindacati hanno garantito che le proteste non strabordassero. I sindacati, anzi il sindacato, se Landini può raccontare che «a me, Luigi e Pierpaolo (Sbarra e Bombardieri, leader di Cisl e Uil, ndr) sono bastati cinque minuti per decidere di chiamare a raduno tutti coloro che difendono la democrazia».

Il dialogo di palazzo Chigi

Il premier Mario Draghi lo ha capito bene. Infatti alla vigilia ha convocato i sindacati a palazzo e firmato un decreto sulla sicurezza sul lavoro che dal palco viene apprezzato, un provvedimento a cui da mesi lavorava il ministro Andrea Orlando, che è in piazza. Se si è riallacciato un solido filo di rispetto fra palazzo Chigi e questa piazza è perché la “disintermediazione” è stata rottamata: nell’uscita dalla crisi il sindacato serve.

A Landini, Sbarra e Bombardieri la prova riesce. Gli organizzatori hanno assicurato alla questura che non avrebbero portato più di 50mila persone per evitare assembramenti. Infatti la questura ne dà 60mila. Alla fine però fra i sindacati circola il numero di 200mila. Né si possono chiamare «cortei», che non sono stati autorizzati, le fiumane di lavoratori che si riversano dalle fermate delle metro fino all’Arcibasilica. Quella dell’orgoglio cigiellino è una corrente di magliette rosse che entrano in piazza tutte sottobraccio, “incordonate” nello slang della vigilanza: il servizio d’ordine c’è ma non si vede. Presenza discreta anche delle forze dell’ordine.

Landini chiede un «piano straordinario per un lavoro sicuro e stabile», chiede ancora prevenzione contro «la strage» dei morti sul lavoro, una riforma fiscale che abbia «un effetto chiaro che la gente capisce, deve aumentare il netto in busta paga e nelle pensioni». A proposito di antifascismo ricorda l’anniversario del rastrellamento del ghetto della capitale, nel 1943, «è necessario che Roma dedichi un luogo a quel ricordo». Racconta che nell’irruzione nella sede della Cgil, il quadro di Guttuso, appeso all’ingresso, è stato risparmiato: «Forse non hanno capito cosa era», per dire che gli assaltatori erano ignoranti ma anche che «la conoscenza e la cultura devono essere un diritto garantito a tutti». Prima, però, lo scioglimento delle forze neofasciste. Landini fa appello a tutte le forze. Ma all’appello manca più della metà del parlamento.

Gli assenti e i muti

Le destre sono rimaste a casa, contestando la scelta di una piazza – non amichevole – nella giornata del silenzio elettorale alla vigilia dei ballottaggi. E, raccomandazione anche dei sindacati, i politici presenti sono obbligati a essere insolitamente taciturni. Così Roberto Gualtieri, candidato del centrosinistra a Roma, rimbalza qualsiasi domanda. Fa lo stesso Enrico Letta, che porta i suoi a seguire il comizio fra la folla: il vicesegretario Beppe Provenzano, il ministro Orlando, l’ex ministro Cesare Damiano, l’ex ministra Paola De Micheli, la presidente Valentina Cuppi, il capo dell’organizzazione Stefano Vaccari, il presidente del Lazio Nicola Zingaretti. Di Sinistra italiana ci sono Nicola Fratoianni e Stefano Fassina. Di Art.1 il ministro Roberto Speranza, che batte il pugno con l’assessore alla sanità laziale Alessio D’Amato; Federico Fornaro e Massimo D’Alema. E Pier Luigi Bersani che invece parla, e invita le destre a decidere se sono «per la Repubblica democratica o no. Se non è oggi, si preparino a scendere in piazza il prossimo 25 aprile». Gennaro Migliore e Luciano Nobili di Italia viva. Elio Vito l’unico di centrodestra che si fa vedere «così non potete dire che non c’era Forza Italia». Non c’è e si nota poco Carlo Calenda, che voleva una piazza antifascista senza rivendicazioni sindacali. Ci sono e invece si fanno notare i Cinque stelle: il ministro Luigi Di Maio arriva fin sotto il palco con un corteo di macchinoni blindati; la folla riesce a scorgere e chiamare Giuseppe Conte, scortato da un plotoncino della sicurezza che include l’ex ministro Alfonso Bonafede. Ci sono gli ex segretari Cgil Camusso e Cofferati, dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo e Carlo Ghezzi; e don Luigi Ciotti, che sale sul palco accanto a Landini.

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