A salvare il ministro della Salute dagli attacchi della Lega non sono le cifre che lui stesso fornisce in aula, o le sue previsioni, non è la professione di trasparenza né il suo «messaggio di determinazione e ragionata fiducia». A rinforzare la sua delicata posizione nel governo è una mossa di Fratelli d’Italia che mette Matteo Salvini spalle al muro e lo costringe ad ammettere che le dimissioni di Roberto Speranza non sono all’ordine del giorno, come aveva fatto capire palazzo Chigi. Ieri, dopo l’informativa sul piano vaccinale, il partito di Giorgia Meloni ha annunciato una mozione di sfiducia individuale contro il ministro. Che costringe il leghista a fare un prudente passo indietro dalla richiesta di dimissioni, per rifugiarsi nell’amara necessità di doverci governare assieme.

I «fatti» e gli auspici

A Montecitorio Speranza ce la mette tutta per tenersi in equilibrio fra la tradizionale linea della prudenza e l’ascolto nei confronti degli aperturisti. «Finalmente ci sono le condizioni per raccogliere i primi concreti risultati del lavoro che svolgiamo da molti mesi tra mille difficoltà e dentro una emergenza sanitaria senza precedenti», annuncia. Un’affermazione basata su «fatti», assicura, ma quelli che espone sono impegni e previsioni. Se da dicembre l’Italia ha ricevuto 14 milioni di dosi di vaccini, «tra aprile e giugno ne riceveremo oltre il triplo», 45 milioni. È un dato tutto sulla carta anche il numero «molto alto di vaccinatori» ottenuti grazie ai protocolli con le parti sociali: si potrà vaccinare nei luoghi di lavoro, ma quando non si sa. Così come sono cifre da verificare sul campo i «42mila medici di famiglia, 7mila pediatri di libera scelta, 38mila specializzandi, 18mila specialisti ambulatoriali, 63mila odontoiatri, 270mila infermieri del servizio nazionale autorizzati a svolgere prestazioni fuori dell’orario di lavoro, 25mila farmacisti» in via di formazione per 11mila farmacie disponibili a vaccinare. Sugli anziani Speranza si attesta sulla riva delle prime dosi somministrate: il 76 per cento degli over 80 e il 30 delle persone tra 70 e 80 anni. Obiettivo «entro il trimestre somministrare la prima dose al target sopra i 60 anni dove si sono concentrati il 95 per cento dei decessi». Speranza ricorda che «prima gli anziani» era l’indicazione contenuta nel suo piano del 2 dicembre scorso. Il commissario Figliuolo ha dovuto cambiare quel piano, e comunque per vedere com’è andata basta (purtroppo) l’ancora altissima cifra dei morti, ieri 380. Contro i nazionalisti del suo governo, leggasi Lega, il ministro difende la scelta di affidarsi all’Europa («È una pericolosa illusione immaginare che l’Italia da sola sarebbe stata più forte nella trattativa con le multinazionali del farmaco»). In realtà «fare da sé», all’inizio, è stata anche un’ipotesi del premier Draghi. È un annuncio l’inizio della trattativa con Reithera per la produzione di un vaccino italiano, sul pasticcio AstraZeneca («vaccino sicuro ed efficace») mette le mani avanti: «È fisiologico che, dopo milioni di inoculazioni, l’utilizzo di un vaccino possa essere ulteriormente valutato». Sono un «auspicio» gli elementi di chiarezza su quello Johnson & Johnson. Quanto alle riaperture «un accorto gradualismo è il più forte investimento che possiamo realizzare per un’estate di ripresa e rinascita», ma non cita date anche se in Italia «per la terza settimana consecutiva scende l’incidenza e l’Rt è pari a 0,92». All’indirizzo di Salvini la tocca pianissimo: «A chi fa polemica ogni giorno io continuo a dire che serve unità, unità, unità».

Lo scherzetto di FdI

Ma a rinsaldare il suo posto al ministero non sono i suoi auspici, piuttosto la guerra fratricida a destra. Federico Fornaro, capogruppo di Leu, batte sul tasto della «lealtà»: «Non è possibile che i ministri della Lega in consiglio dei ministri approvino le scelte del governo e poi il giorno dopo Salvini attacchi il ministro». La Lega si difende senza convinzione, secondo il deputato Massimiliano Panissut – non una prima fila, insomma – «nessuno di noi che sta al governo si comporta come se stesse all’opposizione». E invece Fratelli d’Italia fiuta l’occasione per mettere Salvini nei guai e annuncia «una mozione di sfiducia individuale».

Forza Italia non la prende neanche in considerazione. E infatti la trappola è tutta per l’alleato-avversario leghista. Anche perché da FdI continuano a dire che con il ministro il rapporto è cordiale, tanto che il 9 aprile ha accettato un confronto tutto fair play con il partito di Giorgia Meloni a un convegno sulle riaperture. Un’altra mozione di sfiducia è stata già annunciata da un gruppetto di transfughi M5s, ma è quella di FdI che fa male alla Lega.

Nelle ultime settimane Salvini ha alzato i decibel per recuperare consensi, interni e esterni: i suoi governisti sono sempre più insofferenti ai do di petto del leader, il partito è in discesa nei sondaggi. Ora, dopo tanto tuonare contro Speranza, Salvini deve avventurarsi nella giustificazione del perché non voterà la mozione. Già ieri si preparava alla ritirata. «Non ho tempo di rispondere a Speranza, Tizio e Caio», ha detto ai cronisti, «non è semplice governare con Pd e Speranza ma è necessario».

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