Vai col liscio con un laboratorio del tipico ballo romagnolo, o magari una lezione di dialetto napoletano seguita dalla scoperta del menù dei “cellipieni”, dolci prelibati abruzzesi. Insomma meglio un po’ di buona rustica tradizione, rispetto a un investimento nel Mezzogiorno per ridurre il gap infrastrutturale dal resto dell’Italia.

Così avranno pensato a palazzo Chigi negli uffici di Giorgia Meloni durante l’elaborazione della proposta di riparto delle risorse a disposizione in ambito europeo. Non si spiega altrimenti la decisione del governo di prelevare 200 milioni di euro dai fondi di coesione (della programmazione 2021-2027) per dirottarli sul progetto ribattezzato “Turismo della radici”, affidato al ministero degli Esteri di Antonio Tajani.

L’iniziativa era stata inserita nel Pnrr e aveva beneficiato di una prima dotazione di 20 milioni di euro. Da lì erano state aperte le gare per l’assegnazione dei bandi aggiudicati da oltre 800 comuni.

Lo scopo era quello di far conoscere le terre di origine agli emigrati. Nobile, senza dubbio. Ma per lo più simbolica.

Perché c’erano disparate attività offerte, dalla scoperta delle fritture delle feste in Campania alla preparazione dei canederli, piatto tipico del Trentino-Alto Adige.

Radici per la coesione

Ora il turismo delle radici è invece pronto a beneficiare delle risorse decuplicate. A discapito di interventi di coesione più strutturati. Tajani si ritrova a gestire un prezioso tesoretto di risorse, consegnato direttamente da Meloni, da elargire per progetti territoriali.

La firma sull’operazione è infatti del dipartimento per le politiche di coesione e per il Sud, che fa capo in parte alla presidente del Consiglio. Le deleghe sono state spacchettate: Tommaso Foti è attuale ministro del Pnrr, degli Affari europei e delle politiche per la coesione. Responsabilità condivise, insomma.

Il dipartimento ha inviato nei mesi scorsi la proposta di una nuova ripartizione delle risorse per la coesione al Cipess, l’organismo che ha avallato la rimodulazione dei fondi.

Alla Farnesina l’occasione è stata colta. Sotto l’ombrello del turismo delle radici, del resto, si può finanziare un po’ di tutto, eventi di ogni tipo, menù e balli, in stile fiere e sagre di paese. Basta una sapiente spruzzata di tradizione o una scaltra spolverata del mito delle radici, e nessuno avrà da ridire (in caso di vittoria di un bando).

Non a caso è stato annunciato con enfasi l’arrivo degli stanziamenti su alcuni territori: una gran parte delle risorse sembra già impegnata. Una quota dovrebbe finire al comune di Fiumicino, guidato dal sindaco di centrodestra Mario Baccini, già ministro della Funzione pubblica (governo Berlusconi) ed ex vicepresidente del Senato.

A marzo Baccini ha annunciato: «Siamo stati selezionati nel progetto Turismo delle radici. Se saremo meritevoli, il primo finanziamento che sarà assegnato sarà nell’ordine di 20 milioni di euro da investire nel settore turistico».

Soddisfazione e proteste

Altri 40 milioni di euro sono invece arrivati alla provincia di Avellino, facendo esultare Carmine De Angelis, sindaco di Chiusano (piccolo comune irpino) e consulente di Tajani. «Abbiamo colto nel segno», ha commentato intestandosi il risultato. Insomma, i soldi piovono anche su territori “amici”. Secondo quanto risulta a Domani sono pronti ad affluire ulteriori finanziamenti nei comuni del basso Lazio e della Puglia.

L’operazione ha fatto scattare i sospetti del Partito democratico, che ha presentato un’interrogazione alla Camera. «Quali sono le ragioni che avrebbero portato a inserire anche la voce del Turismo delle radici nell’ambito di questo riparto» chiede a Foti e Tajani un nutrito gruppo di deputati del Pd, tra cui il responsabile Mezzogiorno del partito, Marco Sarracino, la capogruppo a Montecitorio, Chiara Braga, il vicecapogruppo Toni Ricciardi, l’ex sottosegretario Enzo Amendola, e poi Irene Manzi, Piero De Luca, Claudio Stefanazzi.

«È inaccettabile che si voglia destinare ulteriori fondi del ministero con l’obiettivo di coltivare un bacino elettorale. Un simile approccio mortifica il valore culturale e sociale del progetto», dice Sarracino a Domani.

Da qui la richiesta di «una programmazione chiara e trasparente, che garantisca il corretto utilizzo delle risorse comunitarie e che valorizzi il turismo delle radici, evitando logiche di parte o favoritismi».

La domanda che rimbalza, al di fuori del lessico burocratico è: perché palazzo Chigi sposta, senza una motivazione precisa, 200 milioni di euro dalla coesione ai progetti locali non meglio specificati? Certo, il punto fermo – presente nella proposta avanzata al Cipess – è che, nell’ambito di uso delle risorse assegnate a ogni ministero, l’80 per cento vada al Mezzogiorno e la restante parte al Centro-Nord.

Ma la specifica non è sufficiente di fronte il dono da 200 milioni al ministero di Tajani da elargire tra dialetti e menù locali.

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