Non basta la minaccia, ha voluto anche l’umiliazione, insieme a una serie di scortesie percepibili soprattutto a amici e parenti, cioè da chi deve sapere che il centrodestra in realtà è una destracentro, e che comunque comanda ancora lui, Matteo Salvini. Il leader della Lega aveva preso malissimo di essere stato platealmente messo con le spalle al muro dal Cavaliere la settimana scorsa, sullo scostamento di bilancio, quando lo aveva costretto a votare sì nonostante i no espressi in precedenza. Ieri è arrivato il momento di consumare la vendetta. Stavolta è lui a costringere Forza Italia a fare un’impacciata quanto improvvisa inversione a ‘U’ e dichiarare che il prossimo 9 dicembre voterà no alla revisione del Mes, una riforma incardinata dall’ultimo governo Berlusconi e sulla quale gli azzurri si apprestavano a votare positivamente come i loro colleghi popolari europei.

Ma a far scoppiare i malumori in Forza Italia, che fa fatica a accettare il diktat leghista, non è solo il modo ruvido dell’imposizione ma la sequenza dei fatti. Alle 12 e 21 le agenzie battono la sfida di Salvini: la riforma peggiora il trattato, «per i signori di Bruxelles gli italiani sono di serie B e dovrebbero pagare senza dir nulla per coprire i buchi di altri», «Se ad avere bisogno fossimo noi, dovremmo sottostare alla richieste della Troika modello Grecia» e dunque chiunque nell’opposizione «approverà questo oltraggio, questo danno per l’Italia e per le generazioni future finisce di essere compagno di strada della Lega». Passano appena tre minuti ed è la senatrice Licia Ronzulli, non una politica di prima fila ma da tempo donna forte del cordone sanitario ormai stretto intorno a Berlusconi, a confermarlo: «Così come è uscita dall'Eurogruppo la riforma non va bene e Forza Italia voterà contro in Parlamento. Quindi il problema non esiste». E’ lei a dare la linea, Berlusconi è costretto ad arrivare dopo. Questo no, sottolinea, «non ha nulla a che vedere con l'utilizzo dei 37 miliardi destinati alla lotta contro il Covid» ma della riforma non va bene che «le decisioni sull’utilizzo del fondo verranno prese a maggioranza dagli Stati», quindi in teoria anche contro la volontà italiana, e che «il parlamento europeo non avrà alcun potere di controllo e la Commissione europea sarà chiamata a svolgere un ruolo puramente notarile». Sono le stesse argomentazioni con cui avrebbe voluto concludere che il nuovo Mes è comunque un primo passo e che la battaglia del miglioramento va condotta senza isolarsi dai paesi alleati.

E invece deve dire no. Ma nel frattempo in Forza Italia è esplosa la bomba. Il deputato Osvaldo Napoli accende la miccia contro Ronzulli: «Parla a nome del presidente Berlusconi, dei gruppi parlamentari di Forza Italia oppure a nome di Matteo Salvini? Se parla da new entry della Lega, ok. Perché come voterà Forza Italia non è stato ancora deciso in nessuna sede politica ufficiale». Napoli svela il segreto di pulcinella: l’ala liberal, nelle sue diverse filiere, soffre il fatto che il presidente abbia nel suo cerchio magico anche dei fan della Lega. Quello di Salvini «è un diktat». Ronzulli replica: quelle di Napoli sono «dichiarazioni a vanvera», sulla sua lealtà a Berlusconi «nessuno può dire nulla» e via via in un attorcigliarsi di vecchie ruggini e nuovi rancori.

Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, prova a mettere una toppa alla mossa grossolana di Salvini, e ringrazia ufficialmente Forza Italia per la scelta unitaria. Nel frattempo gli azzurri provano a far rientrare la polemica interna. L’eurodeputato Antonio Tajani, uomo del dialogo in Europa (e in Italia con il Pd), argomenta obtorto collo la nuova scelta. Ma Gianfranco Rotondi sentenzia: «Con il no al Mes Forza Italia esaurirebbe la sua funzione politica».

Molti, soprattutto al senato, sono tentati dal sì. Un voto che farebbe comodo anche alla maggioranza: sul Mes qualche Cinque stelle mantiene il broncio. Ma in Forza Italia stavolta l’ammutinamento farebbe male assai di più al vecchio leader che a Salvini. E’ probabile che i gruppi presentino una mozione autonoma.

Dalla Lega intanto traspare la soddisfazione per la vittoria interna che allontana l’alleato «dialogante» dal Pd. E per aver restituito con gli interessi la batosta ricevuta: «Berlusconi ha dato un segnale importante della sua volontà di rimanere nel centrodestra», fanno sapere, «ora saranno i pochi deputati e senatori che non sono d’accordo a dover decidere se restare nella coalizione o passare alla maggioranza».

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