Da Forza Italia approdano alla Lega in tre, tutti e tre deputati, ma Matteo Salvini ai suoi colleghi senatori assicura che ci saranno altre fuoriuscite, se non proprio esodi biblici. «Vedrete, uno a uno passeranno tutti da noi». I tre che hanno annunciato il loro addio all’ormai perdente squadra azzurra sono Laura Ravetto, Maurizio Carrara e Federica Zanella. Non carature da primissima fila, ma riesumano citazioni prestigiose per giustificare il trasferimento nel carro leghista: il partito di Berlusconi ha «perso la forza propulsiva», scrivono, non è più un «luogo di aggregazione per tutto il centrodestra» che invece adesso sarebbe la Lega. A cui attribuiscono, con sprezzo del ridicolo, il titolo di «miglior interprete della rivoluzione liberale». Nella cadente casa berlusconiana, spiegano, ormai stavano «a disagio». E questo è sicuro. Si diverte a confermarlo l’ex ministro Carlo Calenda svelando che Carrara, facoltoso rampollo del Cavalier Mario, proprietario di Cartiere Carrara, «leader europeo nel settore tissue» (recita Wikipedia, si parla di carta, anche igienica), in un recentissimo passato aveva bussato alla porta di Azione, lanciando già il suo grido di dolore: «Non posso stare in un partito che si fa comandare da Salvini». Ha cambiato idea. Come Zanella, anche lei imprenditrice ed ex presidente del Corecom Lombardia. E come Laura Ravetto, cinquantenne sempre un po’ su coi decibel, gioia dei talk show, che il primo patto del Nazareno lo aveva affrontato senza complessi. Oggi invece lo detesta. E dire che le cronache di costume quattro anni fa avevano raccontato di una «larga alleanza» costruita dentro casa, al momento del suo matrimonio con deputato dem, il pugliese Dario Ginefra. Officiava il fondatore del Pd Walter Veltroni. Ma questi sono i suoi fatti privati. Quelli pubblici sono che Forza italia perde irresistibilmente consensi, e al prossimi giro perderà eletti. Anche drammaticamente per effetto del taglio dei parlamentari.

Nonostante i tre siano politicamente pesi piuma, il colpo è ugualmente duro per Forza Italia. E rivela le pessime intenzioni di Salvini: compensare il calo nei sondaggi e il travaso in direzione di Fratelli d’Italia provando a prosciugare quel che resta dell’alleato azzurro, considerato ormai – ma non da oggi, in realtà – inaffidabile, infido e colpevole di tramare per entrare nella maggioranza con un nuovo patto del Nazareno.

Il leader leghista denuncia «l’inciucio». E i forzisti masticano amarissimo. Antonio Tajani, numero due del partito e uomo-chiave del disgelo con il Pd – ha proposto di scrivere insieme la finanziaria – respinge l’accusa: «Non è un inciucio cercare di far approvare proposte concrete per tutelare lavoratori, imprese, famiglie e liberi professionisti. E garantire la salute degli italiani utilizzando i 37 miliardi del Mes. Si tratta soltanto di buon senso e di senso di responsabilità per tutelare i diritti dei cittadini». Non è un inciucio, spiega su Huffington Post anche Andrea Cangini, dell’area liberal che la trazione salviniana la soffre sul serio, è «solo politica, cioè mediazione», «C’è chi, andato al governo con i grillini, accusa oggi di inciucio chi è rimasto, e rimarrà, all’opposizione». Alla fine è Silvio Berlusconi a escludere l’ingresso in maggioranza, spingendo su un tasto dolente per la Lega: «I nostri alleati sanno benissimo che senza Forza Italia non avremmo un centrodestra, ma una destra isolata in Italia e in Europa, non in grado né di vincere le elezioni, né di governare il paese, esattamente come avviene in Francia per il Front National».

La fuoriuscita dei tre avviene nel giorno in cui sembra vacillare fino a spezzarsi il ponte tibetano costruito verso i giallorossi, anche in ossequio alle indicazioni di unità a più riprese arrivate dal Colle. Accettate obtorto collo dal premier Conte che assicura comunque non ci sarà «nessun allargamento della maggioranza». «Berlusconi ha risposto con una cosa sensata», dice il vicesegretario dem Andrea Orlando a Porta a Porta. «Se ci troviamo d’accordo nel merito, collaboriamo. Che poi è quello che stanno rispondendo in tutta Europa le opposizioni sensate in una fase di pandemia». Il Pd dice dialogo sull’emergenza e pensa al Colle: i voti di Forza italia saranno indispensabili. Viceversa Salvini, tentando di spaccare Forza italia, perde la possibilità di costruire una maggioranza alternativa su un presidente non ostile.

Il malumore dem

Ma l’accusa di inciucio è scomodo anche per il Pd, che ieri ha realizzato di essere passato per il mandante della norma «Salva-Mediaset» del dl Covid, quella su cui Salvini ondeggia e che considera merce di scambio per l’ingresso in maggioranza di Forza Italia. E così i dem costringono il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli a raccontare com’è nata quella norma. Una genesi che mette nei guai l’ala governista dei Cinque stelle, sospettata a questo punto di aver ceduto all’arcinemico Berlusconi a puro scopo di sopravvivenza del governo. Il ministro va oltre, la rivendica: quella norma, spiega a SkyTg24, «è di origine governativa, lavorata da me personalmente con il ministro Gualtieri», «non è ad azienda o per fare un dispetto ad un’azienda francese ma una presa d’atto di una sentenza europea che porta ad avere un vuoto normativo da colmare», «Si applica in questo momento perché c’è un caso in corso ma può riguardare il mercato in generale».

Ma è chiaro che i Cinque stelle considerano il caso imbarazzante. Così Di Maio via social dichiara che il suo antiberlusconismo della prima ora non è in discussione. E a Montecitorio si allontana la possibilità di approvare in commissione il «doppio relatore» sulla legge di bilancio, uno per la maggioranza e uno per l’opposizione, come proposto da Renato Brunetta e apprezzato dal segretario Pd Nicola Zingaretti. Si deciderà la prossima settimana, ma è difficile che vada in buca: dal Tesoro filtra una diffidenza nei confronti delle incursioni forziste. E comunque ieri è stato approvato il calendario d’aula della legge arrivata alla camera con un mese di ritardo: un percorso a passo di carica che lascerà poco spazio alla maggioranza, figuriamoci alle opposizioni.

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