Il padre-padrone del Movimento 5 stelle Beppe Grillo dice in un video che lui è solo un “papà” amorevole, lo sfidante Giuseppe Conte minaccia di «non lasciare il suo progetto politico nel cassetto» dopo essere stato silurato. Mentre i due litigano, in parlamento gli eletti fanno i conti. L’ultimo spunto di riflessione arriva dal video del fondatore, che con una certa concitazione dà la sua versione dei fatti della trattativa con Conte, specificando che è stato il Movimento a trasformare l’avvocato in presidente del Consiglio. Alla fine, il comico conclude con un auspicio con una coloritura quasi ricattatoria: «Stiamo uniti se possiamo e se poi qualcuno vuol fare una scelta diversa la farà in tutta coscienza». Insomma, gli addii sono ormai più che una possibilità: per Grillo liberi di andare e di voltare le spalle alla sua guida visionaria. A stretto giro risponde Conte, che assicura di voler andare avanti con la sua proposta politica.

Scegliere se rimanere con il fondatore oppure prendere coraggio e seguire l’avvocato nella sua nuova avventura dipende da tanti fattori e le fazioni si stanno già delineando. Dopo alcuni posizionamenti individuali, nel corso della giornata è arrivato il sostegno del direttivo del gruppo dei senatori al capo reggente Vito Crimi. Una dichiarazione che rappresenta lo spirito che sta animando il gruppo parlamentare al Senato, quasi interamente al fianco di Conte. Alla Camera i numeri non sono così netti, ma si registra comunque uno sbilanciamento a favore dell’ex presidente del Consiglio.

La terza componente, che però ha come orizzonte solo quello di rientrare nel Movimento di Grillo, è quella degli ex, soprattutto gli espulsi in seguito al mancato voto di fiducia al governo Draghi.

Restare con Grillo

Attualmente restare col fondatore sembra l’alternativa meno conveniente per gli eletti, se non per quelli espulsi: uno dei più noti, il senatore Nicola Morra, si è già candidato per un posto nel comitato direttivo che sarà eletto dagli iscritti secondo le indicazioni del garante.

Restare in un Movimento che torna alle origini, con tutte le rigide regole che lo caratterizzavano, è una scommessa. Innanzitutto per chi è al secondo mandato: Grillo è sempre stato granitico sulla regola del limite alle ricandidature, era uno dei punti su cui lui e Conte, che voleva introdurre un’eccezione per merito, non erano mai riusciti a trovare un’intesa. È una questione che però riguarda anche la vecchia guardia che mira a rientrare: molti dei fuoriusciti sono già al secondo mandato e rischierebbero di dire addio al parlamento a fine legislatura.

L’altro punto controverso è la presenza di Rousseau nelle dinamiche del partito. Ieri fonti vicine al fondatore hanno ribadito che il ritorno della piattaforma di Davide Casaleggio sarebbe limitato alla votazione per il comitato direttivo, ma diversi parlamentari sono preoccupati dalla possibilità che Rousseau riprenda potere nel Movimento. La prova del rischio trasparirebbe anche dal minaccioso post con cui Grillo ha intimato a Crimi di cedere i dati degli iscritti alla piattaforma: in alcuni passaggi molti hanno rintracciato lo stile di Casaleggio.

Resta da capire su che finanze conterà Grillo nel suo rilancio e a chi le affiderà, considerato che il Movimento grazie all’azione di Conte aveva appena finito di sbrogliare la sovrapposizione dei conti di Rousseau e M5s. Da non sottovalutare è anche la questione delle poltrone che attualmente il Movimento detiene nel governo, nel sottogoverno e in parlamento. Nelle ore che scorrono tra il post di Grillo e la reazione di Conte nessuno si sente di escludere niente, neanche che il Movimento che rimarrà a Grillo possa lasciare il governo e passare all’opposizione, come chiede dalle colonne di un editoriale su Tpi l’ex deputato Alessandro Di Battista.

Bisognerà vedere poi chi sarà il punto di riferimento del Movimento dopo l’elezione del comitato direttivo e come si porrà sul piano delle alleanze, prima fra tutte quella tessuta con grande pazienza negli ultimi mesi col Pd: se davvero dovesse concretizzarsi la scissione, a chi farà riferimento il segretario Enrico Letta? E, dall’altra parte, i grillini più ortodossi, che nei primi anni del Movimento escludevano qualsiasi possibilità di alleanza, manterranno fede agli accordi presi?

La scommessa di Conte

L’alternativa, ossia seguire la figura rassicurante dell’ex presidente del Consiglio che oggi cavalca l’onda dei consensi sembra attualmente convincere di più. Se Conte è stato in questi mesi il principale punto di riferimento per Letta nella trattativa col Pd e negli accordi sulle amministrative, per capitalizzare il credito guadagnato e confermarsi come il principale interlocutore del segretario dovrà presentarsi con una nuova formazione alle spalle.

Per metterla in piedi, però, oltre a dare al più presto una struttura ai parlamentari pronti a dire addio al fondatore, Conte ha bisogno di denaro. Secondo fonti interne, per il lancio servirebbero 3 milioni di euro. Quei soldi dovrebbero arrivare innanzitutto dai parlamentari, una questione che chiede tempo e che non è scontato che gli eletti, a una manciata di mesi dalla fine della legislatura, siano disposti ad affrontare. Il fatto che però sicuramente apprezzeranno sarà l’opportunità di evitare Casaleggio e lavorare con una piattaforma che non sia Rousseau. Tra l’altro, sarebbe pronto un accordo con SkyVote, che dopo lo strappo con i vertici romani sarebbe dovuta diventare il luogo delle consultazioni degli iscritti. L’altra questione con cui i parlamentari dovranno fare i conti sarà la collocazione della nuova creatura nella maggioranza: improbabile che la lasci e che cambino le figure che già oggi fanno parte dell’esecutivo, vicine a Conte, ma ci saranno da ridistribuire altri ruoli.

Quel che però potrebbe rendere attraente la possibilità nonostante i rischi è la prospettiva che quasi certamente non ci saranno vincoli al numero dei mandati.

© Riproduzione riservata